L’uomo che uccise Don Chisciotte

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Voto al film:

¡Quijote vive!

Toby Grisoni è un regista di pubblicità tornato a lavorare nella Mancha ad anni di distanza dal suo corto di laurea a tema don chisciottesco. Disavventure varie portano Toby a imbattersi nel vecchio attore che aveva interpretato il Chisciotte, ormai impazzito, e a essere da lui scambiato per Sancho Panza. Il giovane regista, impossibilitato a scappare perché ricercato, resterà al fianco del novello Cavaliere dalla Trista Figura fino al finale, che rilegge gli episodi legati ai duchi nel secondo libro di Cervantes.

Finalmente Gilliam ce l’ha fatta! È dai tempi di Lost in La Mancha che gli appassionati dello sgangherato cavaliere manchego e dell’ex Monty Pyton aspettano questo film che, nel 1998, non s’ebbe da fare (e che Jean Rochefort, che fu Don Chisciotte prima di Pryce, non ha fatto in tempo a vedere). Intendiamoci, L’uomo che uccise Don Chisciotte non è niente che uno non si aspetti da entrambe le fonti primarie, scrittore seicentesco e sceneggiatori, che poi sarebbero Gilliam e Tony Grisoni, il quale ha una sola lettera di differenza col protagonista. L’ordito della sceneggiatura però, un pastiche finemente postmoderno, è un piacere da decifrare: episodi originali di Cervantes (l’attacco ai prosciutti incantati, la contessa e le dame di compagnia barbute) si mischiano all’immaginario odierno (il magnate della vodka, la bionda moglie del capo, il massaggiatore, i terroristi islamici…) e suggestioni antiche (il nome Angelica, musa di Orlando dell’Ariosto, uno dei libri maggiormente responsabili della follia del Chisciotte) si mischiano a metacinema.

Tutto questo per dire cosa? Una cosa sul cinema e una cosa sulla vita. Sul cinema: la mitopoiesi (la creazione di miti) della grande letteratura, quella che aveva fatto desiderare una vita diversa all’eroe di Cervantes, è caratteristica ereditaria passata al cinema, che sa sconvolgere l’immaginario e le persone stesse. E allora il calzolaio può diventare Don Chisciotte, la figlia del barista del paese può aspirare a diventare attrice. Sulla vita: la fantasia creatrice è un ottimo antidoto al cinismo capitalista, alle Fortezze Bastiani, ai prevaricatori, ai cliché (che Gilliam esaspera inserendoli nella poetica straniante che lo caratterizza). Un messaggio forse non troppo originale ma che talvolta va pur riproposto.

E la fotografia è bella, le location (come i castelli abbandonati di Oreja e Almonacid o il meraviglioso Montasterio de Piedra vicino Saragozza) sono una gioia per gli occhi, l’accoppiata Pryce/Gilliam funziona sempre, Gabriella Pescucci (un nome, una garanzia) già dal principio era stata arruolata come costumista, Olga Kurylenko fa dell’autoironia sul suo status di femme fatale e Adam Driver non fa rimpiangere Johnny Depp. La colonna sonora originale è firmata Roque Baños (o Rocky Baths, come dice l’irriverente ex Monty Python), scelto appositamente fra le fila dei giovani compositori spagnoli perché, dice ancora Gilliam, “c’era bisogno di qualcuno che avesse piena conoscenza della musica tradizionale spagnola, del flamenco, di sonorità più moresche. La musica in questo film crea paesaggi”.

A distanza di quattro secoli, il Chisciotte vive. Se morisse davvero, come suggerisce il titolo, morirebbe con lui l’anarchico, dissacrante miracolo della creatività umana.

SCHEDA TECNICA
L’Uomo che uccise Don Chisciotte (The Man Who Killed Don Quixote, Inghilterra-Spagna-Portogallo-Belgio-Francia, 2018) – REGIA: Terry Gilliam. SCENEGGIATURA: Terry Gilliam, Tony Grisoni. FOTOGRAFIA: Nicola Pecorini. MONTAGGIO: Lesley Walker, Teresa Font. MUSICHE: Roque Baños. CAST: Jonathan Pryce, Adam Driver, Joana Ribeiro, Olga Kurylenko. GENERE: Avventura. DURATA: 133′

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