[:it]LeitChristmas 2017: Un americano a Parigi[:en]Un americano a Parigi[:]

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Voto al film:

Our Love is Here to Stay

Jerry Mulligan (Gene Kelly) è uno dei tanti americani che, dopo la guerra, hanno deciso di fermarsi a vivere nel vecchio continente. Lui, pittore in cerca di fortuna, vive a Parigi e ama ritrarre nei suoi dipinti gli scorci posticci di un’assolata Montmartre, accompagnato dagli amici Adam, un pianista americano, e Henri un cantante francese.Un-americano-a-parigiIl romantico equilibrio di questa esistenza bohèmienne viene stravolto dall’arrivo Milo Roberts (Nina Foch) la quale, un po’ mecenate e un po’ pigmalione, decide di far sfondare Jerry nel mondo dell’arte… e non solo. Peccato che nel frattempo lui conosca la radiosa Lise (Leslie Caron), una giovane orfana di cui si innamora a prima vista. Eppure la ragazza nasconde un segreto…

L’occhio disincantato, ma allo stesso tempo onirico del regista, crea un binomio indissolubile con lo stilema that’s entertainment” dello studio system della Hollywood classica. Se da una parte Un Americano a Parigi è il prodotto perfetto confezionato dalla MGM dei musical di Arthur Freed, dall’altra parte – complici anche le coreografie create da Kelly stesso – si tratta di una rilettura estremamente personale da parte del regista di un’opera preesistente.

Quando Un americano a Parigi uscì nelle sale cinematografiche statunitensi nel 1951, George Gershwin era già scomparso da quattordici anni, mentre l’opera sinfonica era stata eseguita per la prima volta ventitré anni prima, il 13 dicembre 1928. Compositore poliedrico e dall’animo complesso, la figura di Gershwin è sempre stata in bilico tra un’affermazione nel mondo della musica classica “colta” e la popular music della Tin Pan Alley. Un’ambivalenza che il film di Vincente Minnelli riesce non solo a cogliere, ma a riscrivere su pellicola proprio attraverso la musica che in questo modo diventa un raccordo tra l’irrealtà una visione di realtà. Minnelli rilegge l’opera sinfonica di Gershwin attraverso quella “distinzione tra irrealtà e immaginario” sottolineata da Thomas Elsaesser, in cui anche la fisicità di Gene Kelly cessa di essere un elemento concreto diventando contrappunto per una messa in scena magnifica costruita sui grandi motivi di Gershwin.

In questo senso possiamo intendere Un americano a Parigi anche come una riflessione sulla musica americana stessa, in cui le celebri popular songs gershwiniane sono accostate alla composizione sinfonica da cui prende il titolo il film stesso. Una combinazione solo apparentemente contraddittoria se consideriamo la poetica stessa di Gershwin, ma soprattutto le sequenze cantate e ballate sui motivi Tin Pan Alley come momenti che precedono immediatamente il balletto sulle note di An American in Paris, cuore pulsante del film.

Se nella celebre sequenza di Our Love Is Here to Stay pare esserci ancora un qualche, seppur vago, richiamo alla realtà, il balletto finale diventa invece esplicazione totale di una irrealtà onirica che riesce finalmente a liberarsi da qualsiasi schema tangibile. È interessante che il protagonista acceda a una (ir)realtà alternativa attraverso un suo disegno: uno schizzo strappato in bianco e nero, abbandonato in mezzo a festoni colorati, diventa portale di un sogno in technicolor diametralmente opposto rispetto alla dimensione presente. Jerry si spoglia del suo abito in bianco e nero da Pierrot e si proietta in una giostra di colori, paesaggi posticci alla Toulouse-Lautrec e, alla fine, riesce a ricongiungersi con la sua amata sul crescendo delle Un americano a Pariginote di Gershwin. Una composizione che volendo esprimere il movimento della vita cittadina e il fascino dell’americano per il vecchio continente, sembra essere, per certi versi, il contraltare europeo della Rhapsody in Blue. Tuttavia forse non tutti sanno che l’orchestrazione di Saul Chaplin taglia inspiegabilmente sei minuti della partitura originale aggiungendone cinque di nuova musica…

Puro distillato di quelle magnifiche illusioni cinematografiche, figlio di un’epoca in cui kitch faceva ancora rima con stile, il fascino eccessivo di Un americano a Parigi è ormai senza tempo. Nel 1952 si aggiudicò ben 6 Premi Oscar (miglior film, colonna sonora, sceneggiatura, scenografie, fotografia, costumi) mentre nel 1998 è stato inserito dall’AFI al 68esimo nella classifica AFI’s 100 Years… 100 Movies.

SCHEDA TECNICA
Un Americano a Parigi (An American in Paris USA, 1951) – REGIA: Vincente Minnelli. FOTOGRAFIA: Alfred Gilks. MONTAGGIO: Adrienne Fazan. MUSICHE: George Gershwin, Ira Gershwin, Saul Chaplin (non accreditato). CAST: Gene Kelly, Leslie Caron, Oscar Levant, Georges Guétary, Nina Foch. GENERE: Musical. DURATA: 113′

 

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