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Catarsi e arcobaleni
Conversazione con Ruggero Fornari e Emilio Seri
Ruggero Fornari è chitarrista jazz e compositore. Dopo aver iniziato a suonare la chitarra a 12 anni, mosso da una grande passione per Jimi Hendrix, intraprende un percorso volto ad approfondire lo studio della chitarra jazz, per poi maturare in seguito un profondo interesse per la produzione di musica elettronica. Attivo su più fronti, attualmente divide la sua attività tra performance con numerose formazioni jazz e la creazione di musica contraddistinta da influenze Hip-Hop, Glitch e Ambient. Pneuma EP è il suo debutto da solista.
Emilio Seri è regista e sceneggiatore. Tra i suoi lavori ricordiamo il corto di fantascienza Astral Migrant (2016), progetto di tesi specialistica per il Master in Fine Arts al City College di New York, arrivato in semifinale agli Academy Awards degli studenti e selezionato da diversi festival. Attualmente Emilio è al lavoro su Muro, un cortometraggio d’animazione in stop-motion.
Benedetta Agostini vive a Bordeaux dove lavora come ballerina freelance. Nel 2015 ha conseguito il diploma di ballerina e interprete alla scuola ESDC di Cannes. Ha interpretato inoltre coreografie di artisti di spicco e ballato per due stagioni consecutive con il Ballet Junior de Genève. Attualmente collabora anche a progetti su scala europea.
Leitmovie li ha incontrati in occasione dell’uscita di Pneuma EP e del rilascio di Over the Motherfucking Goddamn Rainbow.
Qualche giorno fa è uscito il videoclip ufficiale di Over the Motherfucking Goddamn Rainbow, una delle tracce di Pneuma EP (disponibile su SoundCloud e Bandcamp dal 27 marzo), il tuo esordio come compositore e produttore indipendente nel mondo della musica elettronica. Ce ne vuoi parlare?
Ruggero: Pneuma è una parola greca che significa respiro o, in senso più ampio, aria, quella che secondo me è l’elemento fondamentale della mia musica. Quando faccio musica ho sempre in testa questa idea, una sorta di leggerezza a cui desidero aspirare. L’EP è composto da tre tracce originali di cui ho curato l’esecuzione che l’arrangiamento.
Come nasce il pezzo e perché hai scelto di affidare la regia del videoclip a Emilio e Giacomo?
Ruggero: Il pezzo è nato da una sperimentazione notturna al computer. C’era qualcosa in quei suoni che mi faceva pensare a una frase di James Baldwin che poi è diventata il titolo del brano stesso. Conosco Emilio dai tempi del liceo, ammiro il suo lavoro e da sempre sognavo di collaborare con lui a qualcosa di nuovo. Questa era l’occasione perfetta. È stato lui a presentarmi Giacomo e i ragazzi di Penumbria Studio.
Emilio, in questi ultimi anni hai realizzato progetti molto diversi tra loro, ma questa è la tua prima esperienza sul set di un videoclip musicale, giusto?
Emilio: Sì, questo è il mio primo videoclip. In passato ho girato due spot per due cori, ma si è trattata di un’esperienza abbastanza diversa. Il mondo dei music video mi piace molto, così quando Ruggero mi ha proposto l’idea non mi sono tirato indietro. Adoro la sua musica e desidero che anche il mondo la conosca.
Trattandosi del videoclip di debutto della musica di Ruggero, ma anche di Emilio come regista, possiamo dire che Over the Motherfucking Goddamn Rainbow rappresenta un po’ un’esperienza di prime volte sotto diversi punti di vista. Com’è stata concepita l’idea del soggetto in relazione alle vostre sensibilità?
Ruggero: L’idea del video è arrivata una notte in cui non riuscivo a dormire. Ho pensato che mi sarebbe piaciuto vedere una ballerina che danzava sulla mia musica. Da lì ha iniziato a prendere corpo il concept. Nel libro di Baldwin la frase da cui il pezzo prende il titolo è infatti riferita alla morte di un personaggio; per questo ho pensato di far ballare la protagonista in un luogo in cui era stata con la sua ragazza prima della sua morte. Inoltre volevo che il video si caratterizzasse per un’atmosfera bucolica, la stessa con cui è possibile leggere tutti i miei brani. L’idea di fondo è che mi piace pensare che in un prossimo futuro vedremo la riconciliazione dell’umanità con la natura, una specie di reintegrazione con la modernità.
Emilio: Quando Ruggero mi ha chiesto di collaborare alla regia del videoclip la mia prima preoccupazione è stata di natura tecnica e qualitativa, per questo ho deciso di aprire il progetto alla collaborazione di Penumbria Studio, grandi amanti del mezzo cinematografico e bravissimi videomakers, i quali avevano già esperienza nel campo dei videoclip.
È interessante che a un primo ascolto, sia io che loro abbiamo pensato a un immaginario di riferimento femminile, esattamente come nel concept di Ruggero; anche se noi avevamo immaginato un’ambientazione di tipo urbano e notturno. Nonostante tutto ho scelto di abbracciare la visione di Ruggero. L’ultima volta che mi aveva proposto un’idea io la scartai dicendo che non avremmo mai potuto filmare gente che usciva dalle macchine e iniziava a ballare in autostrada, che è l’inizio di La La Land! Così gran parte delle sequenze sono state girate nei pressi di un rudere nelle campagne di Deruta: una location che combina l’elemento naturalistico con quello urbano creando delle suggestioni molto interessanti.
Il videoclip si contraddistingue anche per una sua linearità e uno stile che lo rende immediatamente riconoscibile, grazie anche alla presenza di molti dettagli…
Ruggero: Sì è vero, infatti all’inizio del video possiamo chiaramente vedere sul comodino della ragazza il romanzo di Baldwin. Si tratta chiaramente di un omaggio, che nel video assume un significato simbolico dal momento che sul libro è appoggiata la collana che ricorda alla protagonista la sua ragazza morta. Non a caso si tratta di un chiama angeli, un ciondolo che secondo l’antica leggenda Indonesiana ha il potere di evocare presenze positive.
Come avete accennato Over the Motherfucking Goddamn Rainbow è una citazione di Baldwin da Just Above My Head, metafora di un sentimento di perdita e di fine delle illusioni che a sua volta sembra richiamare la popolarissima Over the Rainbow come contraltare idealistico. Si tratta di un dettaglio che può evocare anche le vostre rispettive formazioni, da musicista e regista. Com’è stato per voi fare i conti con questa fine delle illusioni, ma anche con il senso di rinascita e pace che si percepisce sul finale?
Ruggero: Over the rainbow è un’espressione che potrebbe corrispondere in italiano a “sopra le nuvole” e sicuramente potrebbe anche essere un richiamo all’omonimo standard, nei romanzi di Baldwin ci sono tanti riferimenti di questo tipo.
Emilio: Per noi era molto importante mostrare il libro di James Baldwin, che io e Ruggero abbiamo conosciuto meglio grazie al documentario I Am Not Your Negro, o comunque fare dei riferimenti a lui. Nel video ci sono molti riferimenti alla sua persona e poetica, a partire da fatto che Baldwin fosse omosessuale proprio come la ballerina protagonista. Il tutto è suggerito però in maniera velata. All’inizio del videoclip ad esempio si vedono delle trapunte con fiori blu, il simbolo delle persone romantiche e idealiste secondo un detto francese che dà anche il titolo all’omonimo romanzo di Queneau. E, non caso, Baldwin trascorse gran parte della propria vita in Francia.
Nel momento in cui è stato chiaro che la protagonista doveva essere una ballerina Ruggero ha subito pensato a Benedetta, la quale ha creato una coreografia puntando molto sull’improvvisazione. Com’è stato lavorare con lei e come è stato per te, Benedetta, ballare per la prima volta dietro alla macchina da presa?
Benedetta: In passato avevo già preso parte ad altri progetti che prevedevano l’uso del video, tuttavia sempre circoscritti all’ambito della danza. Perciò sì, questo è il mio primo videoclip! Sono rimasta entusiasta, è stato davvero bello collaborare con loro per la prima volta, soprattutto perché mi hanno lasciato carta bianca su tutto ciò che riguardava la danza. Io ho preferito improvvisare perché, a mio avviso, si addiceva di più alla storia e perché in questo modo potevo puntare di più sulle mie capacità. La spontaneità era quello che meglio si addiceva all’idea di danza come catarsi. La troupe mi ha aiutato molto a concentrare i miei pensieri per trovare il giusto focus, cosa che mi ha facilitato per realizzare qualcosa che fosse sentito davvero. Inoltre io sono una grande fan della danza all’esterno, per me questa è una forma d’espressione che non deve essere ricondotta per forza all’interno dei teatri. Io vivo in Francia da molto tempo, i primi anni che ero lì partecipavo spesso a progetti che prevedevano forme di “deambulazione” attraverso le città. È qualcosa in grado di mettere a contatto l’umanità con l’esterno, che è un po’ l’idea di Ruggero per la musica.
Ruggero: Quando Benedetta mi ha detto che avrebbe preferito improvvisare sono stato sin da subito molto contento. Io stesso, suonando musica jazz, amo improvvisare e anche nei miei brani di musica elettronica cerco di creare qualcosa che non si ripeta a lungo e troppo staticamente. Motivo per cui provo a evolvere il pezzo in maniera imprevista, remando anche contro quelli che sono gli stilemi della musica elettronica.
Emilio: Parlandomi del concept Ruggero ha fatto subito il nome di Benedetta, che io non conoscevo. Sono rimasto affascinato dal suo stile vedendola ballare in alcuni video di prova mandatici da lei prima dell’inizio delle riprese. Non sono un esperto di danza, ma in qualche modo Benedetta raccoglie con il suo stile tutto ciò che mi piace di questa bellissima forma espressiva. Quando lei balla mette in scena una vera e propria pantomima, racconta delle storie in modo credibile, ecco perché era perfetta per il video. Ovviamente l’improvvisazione prevede un impegno maggiore dal punto di vista tecnico, qui il merito va tutto alla troupe che è stata in grado di seguire Benedetta in tutti i suoi movimenti. Senza poi dimenticare che Benedetta si è rivelata un’ottima attrice!
Benedetta: Sì, sarà perché è stata la prima volta, però mi sono sentita subito a mio agio sul set e avevo voglia di imparare il più possibile. Sono da sempre una grande appassionata di performance e physical theatre, una forma di interpretazione che richiede anche un certo tipo di presenza scenica. Quello che abbiamo fatto è diverso, anche se per certi versi si avvicina molto, e avere un po’ di esperienza sul campo mi ha aiutato a calarmi meglio nella parte.
Ci sono delle personalità a cui vi ispirate per il vostro lavoro?
Ruggero: Per me senza dubbio Flying Lotus, James Blake, FKA twigs. Ma si tratta solo di nomi e non è detto che la mia musica debba per forza ricordarli, soprattutto perché tra loro sono ben diversi.
Benedetta: Io non ho un riferimento unico, prendo ispirazione da diverse cose che mi toccano dal punto di vista pragmatico. Basti pensare alle personalità che ho avuto modo di apprezzare lungo il mio percorso e che mi hanno insegnato come affrontare la vita quotidiana e lavorativa in modo personale e diretto. Mi viene in mente una rivoluzionaria come Régine Chopinot, ma anche Dominique Monet Robier, Kaori Ito o Marina Abramovic. Per me sono delle vere e proprie eroine, donne geniali la cui vita mi ha impressionato e ispirato profondamente, anche per quanto riguarda la sfera della femminilità.
Emilio: Parlando del mondo dei music video in particolare, mi colpiscono i lavori di tutti coloro che riescono ad andare oltre certe barriere. I videoclip hanno un montaggio serrato, una determinata tipologia di immagini, ma anche certi colori; qualcosa con cui anche me piace giocare, pure se apprezzo anche modalità diverse che fanno uso di più piani sequenza. Mi fanno impazzire infatti i videoclip di Michel Gondry e Spike Jonze.
A proposito di questo pensi che il settore dei music video possa permettere più sperimentazione rispetto al cinema in questo momento?
Emilio: A me piace sperimentale sempre, tant’è che a mio avviso non bisognerebbe neanche denominare un film come sperimentale. Questa idea di etichettare deriva da un’abitudine tutta americana. Qualsiasi forma espressiva ti permette di esplorare territori nuovi, a maggior ragione il cinema. In questo senso per me tutti i film dovrebbero essere sperimentali. È qualcosa che io faccio sempre nei miei corti e che ho fatto anche stavolta, dovendo girare un video musicale. Ci sono due grandi esempi di registi, Michel Gondry e Spike Jonze, che sono partiti dai music video e che sono riusciti ad applicare gli stessi stilemi al cinema in modo grandioso. Attualmente nei videoclip ci sono tante idee interessanti, alcune più riuscite altre meno, l’importante secondo me è andare oltre quella forma standard che si viene a creare col tempo in ogni tipo di progetto. Per esempio il mio prossimo lavoro sarà un corto in stop-motion, una satira sulle politiche recenti di persone che vogliono erigere muri per separare nazioni e altre persone…
Visto che siamo qui a parlare di cinema e musica elettronica… Nel 1982 usciva un film di un giovane regista con una colonna sonora realizzata da un grande innovatore. Il film è Blade Runner. Avete visto il sequel, da musicista e da regista che cosa ne pensate?
Ruggero: A me è piaciuto molto questo sequel, l’ho trovato interessante, però sono rimasto abbastanza deluso per quanto riguarda l’aspetto musicale perché secondo me non è molto in linea con quella che era l’intenzione della musica nel film originale. In quel caso si trattava di una colonna sonora molto particolare e, per l’epoca, dalle sonorità decisamente futuristiche. Nel sequel c’è invece una musica che nasce con intenzioni diverse rispetto al Blade Runner originale e può essere senza dubbio apprezzabile, tuttavia io non ho colto quel qualcosa in più, ecco perché a mio parere manca di originalità. Io avrei visto molto bene nel film la musica di Arca che, secondo me è un po’ l’erede spirituale di brani come Memories of Green di Vangelis. In ogni caso sono contento che in uno dei tre corti prequel, quello d’animazione, ci sia la musica di Flying Lotus.
Emilio: Hans Zimmer ha fatto delle belle cose però sta diventando un po’ troppo rumoroso! Per certi versi una colonna sonora di questo tipo può funzionare meglio con Dunkirk, ma in questo caso non ne sono troppo convinto. Per quanto riguarda il film, io l’ho trovato visivamente molto interessante, con una fotografia grandissima. Denis Villeneuve è un regista che avevo già apprezzato molto con Arrival, essendo io amante dei film di fantascienza e della linguistica, perciò avevo grandi aspettative. Tuttavia se devo trovare un difetto direi la sceneggiatura, a mio avviso un po’ scontata.
Da giovani artisti come vedete al giorno d’oggi il cinema, la musica e la danza per chi vuole emergere? Come è cambiata la promozione da parte degli artisti anche con l’utilizzo dei social network e delle piattaforme digitali?
Ruggero: Secondo me questo è un ottimo momento per la musica, ci sono tante nuove uscite di livello molto alto. C’è una concentrazione di creatività che, per me, è paragonabile a quella che c’è stata negli anni ’60, in vari campi musicali. Forse questo è dovuto alle piattaforme digitali che permettono agli artisti emergenti e indipendenti di mettersi in mostra. La musica insomma gode di ottima salute, soprattutto grazie ai giovani.
Emilio: In riferimento a questo basti pensare a Chance the Rapper che ha iniziato mettendo la sua musica gratuita per tutti su YouTube e l’anno scorso ha vinto un Grammy pur non avendo un’etichetta discografica. Stessa cosa vale per il mondo del cinema e dei video. Ci sono tante realtà, come i ragazzi di Penumbria Studio, la nostra troupe, che si mettono in gioco anche attraverso i social media. Io avendo passato gli ultimi anni in America non conosco così bene la situazione a livello italiano, ma da un certo punto di vista si nota la differenza per quanto riguarda le opportunità dato che il sistema è completamente diverso. La cosa bella è anche lì ci sono tanti piccoli registi che partendo da un budget ridotto e creando attorno a sé una comunità, possono poi dare vita a progetti più grandi accedendo poi al cinema. Pure se in questo momento mandare i film in sala è più complicato rispetto al passato, per via delle piattaforme online che comunque ritengo un’opportunità validissima e molto interessante. Anch’io sono uno che si fa le maratone di Netflix in una notte, ma non posso assolutamente rinunciare alla sala cinematografica, che per me ha una valenza simbolica e sociale molto importante.
Benedetta: Sono d’accordo sul fatto che ci sia tanta creatività in questo periodo; anche la danza si sta evolvendo molto facendo passi da gigante. Credo che questo sia dovuto non solo all’esigenza di integrazione con i mezzi di oggi, ma anche a una nuova consapevolezza sul fatto che la danza come arte non sia solo un bel corpo nascosto dietro una coreografia, ma un’esigenza di esprimersi e di comunicare attraverso gesti e situazioni in relazione al mondo circostante. Perciò ritengo che sempre più spesso la danza abbia la necessità di integrarsi con forme diverse come il videomaking, le arti plastiche, il canto o la musica live. La nostra quotidianità infatti è continuamente bombardata dal mondo virtuale e da effetti speciali, grazie a cui è possibile anche dare vita a nuove idee incredibili come i conceptional video projects, il 3D in teatro durante gli spettacoli, ma anche a innovative performance in strada, che da sempre mi affascinano molto. In fondo gli artisti sono umani, come tutti, ecco perché per me è questo il modo migliore per trovarsi a stretto contatto con il pubblico, parlando direttamente alle persone guardandole negli occhi e non dall’alto di un palco. Ballare per strada e nei luoghi pubblici è affascinante, così come trovo eccitante questa nuova evoluzione che mette a disposizione mezzi sempre nuovi; tuttavia una parte del mio cuore resterà sempre a teatro perché tutto è nato da lì. In ogni caso il segreto secondo me, risiede nella volontà di imparare a essere poliedrici e polivalenti, in particolare per la danza contemporanea che è il futuro della danza di oggi.
Perciò il prossimo futuro come lo vedete, vi piacerebbe di nuovo lavorare insieme?
Benedetta: A me piacerebbe tantissimo collaborare di nuovo con loro, è stato tutto molto ispirante. Per quanto riguarda il resto sono aperta a nuovi progetti che siano teatro, danza e molto altro ancora.
Emilio: Io ho adorato Benedetta e mi piacerebbe davvero molto lavorare ancora una volta insieme a lei perché è una splendida interprete e ballerina. Con Ruggero lavoreremo sicuramente insieme per altri progetti, nello specifico spero che lui possa produrre alcuni brani che sto scrivendo. Poi c’è anche questo progetto di lungometraggio a cui sto lavorando di cui lui farà una colonna sonora jazz. Si tratta di un noir, un po’ Nolan, un po’ Ascensore per il patibolo, un po’ hard-boiled anni ’40.
Ruggero: Sicuramente io lavorerò di nuovo con Emilio e spero anche con Benedetta… chissà, forse diventerà lei il personaggio di tutti i miei video musicali! Inoltre sono molto felice di aver fatto conoscere lei ed Emilio.
Il vostro film preferito?
Benedetta: Uno dei miei preferiti è un film francese, Tutto suo madre. È la storia di un ragazzo eterosessuale che però è creduto da tutti omosessuale. Il film è tratto dallo spettacolo teatrale del regista stesso, il quale si è ispirato alla sua storia e al suo fascino per le figure femminili, prima fra tutte sua madre. L’ho adorato perché mostra quanto la gente possa sbagliarsi durante la vita di tutti i giorni.
Ruggero: A me piacciono molto i film di Spike Lee, forse perché sono da sempre affascinato dalla musica e dalla cultura afroamericana. Nei suoi film si vedono molti dei meccanismi che caratterizzano quel tipo di società, mi viene in mente La 25a ora, che forse è quello che ho visto più volte. È bellissimo come sia riuscito a catturare lo spirito di New York con certe inquadrature, come quella famosissima su Ground Zero.
Emilio: A me viene in mente Her, di Spike Jonze. Quando l’ho visto al cinema ho pianto moltissimo perché quella storia ha avuto la capacità di farmi riflettere sulla mia relazione a distanza, che è un po’ quel che viveva il protagonista stesso. L’ho trovato diretto e meraviglioso per la sua innocenza e sincerità. Si tratta di aspetti che mi affascinano molto nei film, mi vengono in mente anche altri titoli celebri come Edward mani di forbice o 8 e ½. Io stesso quando realizzo un film spero sempre che possa colpire il pubblico dal punto di vista emotivo. Vorrei che come questi film hanno strappato me dalla mia solitudine, i miei strappassero gli altri dalla loro.
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