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Sing, sing, sing!!!!
La luce che sprigiona il personaggio curioso e eclettico di Florence Forster Jenkins coinvolge il regista Stephen Frears al punto tale da dedicarle un film solo a un anno di distanza dal collega francese Xavier Giannoli che, con il suo Marguerite, liberamente ispirato alla storia dell’ereditiera americana, si aggiudica nell’anno appena passato ben quattro premi Cèsar.
Già firma di Philomena e The Queen, Stephen Frears presenta in concorso allo scorso Festival del cinema di Roma il suo Florence, biopic sopra le righe che ricostruisce ben più fedelmente del precedente francese uno spaccato della vita di quella che fu – probabilmente – la più celebre soprano stonata che la storia della lirica ricordi.
Nella New York della seconda guerra mondiale, la settantenne Florence (Meryl Streep), quasi per legge del contrappasso, non sa cantare; nutre un amore viscerale per la musica che coltiva animando i ricchi salotti newyorkesi e che la conduce a fondare persino un club titolato a Giuseppe Verdi, senza, per altro, dimenticare di elargire copiose donazioni a enti musicali. Un amore che però si dimostra ingeneroso nei suoi confronti, riservando a Florence non di certo la più aggraziata tra le voci. Protetta dalla triste verità da un marito/manager devoto e condiscendente (Hugh Grant, nei panni del facoltoso St. Clair Bayfield), l’apice della vicenda si raggiunge quando Florence, seduta in platea in un deserto Carnegie Hall, esclamando “this is my favourite place in the world!”, rivela al marito di volersi esibire proprio su quel palcoscenico. Da qui, il susseguirsi delle lezioni e l’evolversi del legame con il pianista Cosmé McMoon (Simon Helberg) che l’accompagnerà durante il grande concerto finale.
In Florence, la cui anima è rappresentata dalla dedizione ostinata della protagonista nei riguardi della lirica e dell’opera, la componente musicale interviene talvolta per deliziarci attraverso performance impeccabili, come nel caso di The Bell Song, eseguita dalla soprano Aida Garifullina, talvolta, se non prevalentemente, con sfumature ilari e grottesche come, esempio tra tutti, nel caso di Queen of the Night’s aria, alla quale gli acuti striduli di Florence non riescono a rendere giustizia. Il montaggio intervalla, infatti, a una concentratissima Florence le smorfie cariche di sdegno e le risatine, unitamente a qualche sbadiglio, che serpeggiano tra gli astanti. Ma di certo a Florence, se non l’arte del bel canto, va riconosciuta un’incrollabile perseveranza; ed ecco che da quella stessa platea che sembrava pronta a metterla alla gogna, si leva un fragoroso applauso e un’ovazione collettiva. Così, Florence, godendosi le luci della ribalta, ci saluta quasi come a volerci suggerire: cosa volete che importi se bene o male, purché si canti!