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Loro o l’elogio della tristezza
Scrivere recensioni in prima persona non è soltanto demodé, ma rischia di far peccare di presunzione il/la critico/a che, ormai in questo fluido presente, non gode più di quell’aura magnifica persa ormai da più di vent’anni. Tuttavia, dovendo esaminare Loro, non ho potuto fare a meno di scollare la mia esperienza visiva da un giudizio del tutto soggettivo. Questo perché, soprattutto da La grande bellezza in poi, ha preso vita qualcosa di ineffabile nel cinema di Sorrentino che rende ogni film (ma anche la serie televisiva The Young Pope) una vera e propria esperienza, qualcosa di estremamente complicato per poter essere esaminato soltanto in modo oggettivo. Motivo per cui ogni opera sembra dialogare in modo ambiguo, ma allo stesso tempo estremamente diretto, a seconda di chi la guarda: basti pensare a pubblico e critica spaccati a metà dopo aver visto Loro, dittico uscito nei cinema italiani tra il 24 aprile e il 10 maggio. Dal signore a fianco a me che nel buio della sala intravede un che di felliniano nella sequenza finale della statua, a Pino Farinotti che rimprovera Sorrentino di aver fatto un film sul vuoto in una lettera aperta il cui succo pare essere: “hai gli strumenti ma non ti sforzi abbastanza” (un po’ come direbbe un insegnante a un alunno capace ma svogliato), sembra che Loro sia solo e soltanto horror vacui. E lo è, indubbiamente, ma a mio avviso c’è molto altro.
Se l’intento di Sorrentino era quello di raccontare un circo di fantocci e lustrini messo in piedi da un uomo che ha fatto dei propri complessi d’inferiorità la sua ricchezza, affascinando e ingannando il suo stesso paese (dagli scandali di Arcore al terremoto de L’Aquila), allora ritengo che Loro pecchi di magniloquenza, perdendosi tra dettagli barocchi e sotto-trame, non centrando appieno il suo obiettivo. Motivo per cui il valore del film stesso, ammesso che sia corretto parlare in questi termini, sfugge ai più.
Questo perché Loro è un film ambiguo. Non basta esplicitare che i riferimenti a persone e fatti siano casuali, non basta cambiare più o meno qualche nome perché i fatti narrati, nonché le conseguenze sul nostro presente, sono noti. Sappiamo chi sono loro, o comunque possiamo facilmente immaginarlo. Come nel caso del misterioso figuro coperto da asciugamani. Ecco perché la volontà di raccontare il Silvio Berlusconi (modificato ad hoc in Berluscone) uomo appare comunque grottesca, ambigua appunto. Un’idea che visivamente viene implementata da scenografie gonfie, cariche di dettagli che si direbbero superflui, di cui Servillo/Berluscone, il quale non assomiglia poi molto al vero Silvio Berlusconi come molti hanno notato, diventa genesi e incarnazione. Questo fa pensare ancor di più alla volontà di Sorrentino di raccontare una maschera, una faccia di una certa Italia fatta di vizi, lusso, solitudine e tristezza; uno spunto geniale – la sequenza della telefonata ne è un esempio – ma che si perde continuamente tra vezzi e minuzie ampollose che non bastano per dare vita a un buon film.
Sarà per questo che anche la musica in Loro appare svuotata di ogni apparente significato che non sia un languido accompagnamento di stacchetti, di cui la sequenza Meno male che Silvio c’è rappresenta il picco più alto in bilico tra trash e horror vacui, o semplice commento extradiegetico. Non è un caso che gli unici momenti in cui la musica appare (ma in realtà non è) più o umanizzata o viva sono riferiti alle performance canore di Silvio: sequenze che, tuttavia, non sono altro che il continuo inesorabile di una lunga messa in scena di un personaggio caricaturale e grottesco, costantemente spaventato dalla morte e alla ricerca di una vitalità giovanile perduta in qualche nave da crociera. Un sentimento di nostalgia e di romanticismo appassito che pervade anche il cameo di Fabio Concato che canta Domenica bestiale alla fine del primo capitolo.
Un elogio della tristezza che, a mio avviso, trova nelle parole della giovane Stella la sua vera chiave di lettura: “È tutto triste. E con la tristezza non si fa niente, nemmeno una scopata”. Questa è la frase con cui Sorrentino annienta un bambino vecchio, un mercante di sogni facili, un pagliaccio che esorcizza paure e complessi accumulando cose e persone dozzinali.
Forse ora è troppo complicato dire davvero cosa sia(no) Loro, se non un allestimento di un circo sgargiante in cui regna l’amarezza: sarà interessante scoprire come invecchierà tra venti o trent’anni, quando loro non ci saranno più e forse ce ne saranno altri, né migliori né peggiori.
SCHEDA TECNICA
Loro (Id.; Italia-Francia, 2018). REGIA: Paolo Sorrentino. SCENEGGIATURA: Paolo Sorrentino, Umberto Contarello. FOTOGRAFIA: Luca Bigazzi. MONTAGGIO: Cristiano Trovaglioli. MUSICA: Lele Marchitelli. CAST: Toni Servillo, Elena Sofia Ricci, Riccardo Scamarcio, Kasia Smutniak, Fabrizio Bentivoglio. GENERE: Drammatico. DURATA: 100’ (Loro 1) – 104’ (Loro 2)
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