Erroll Garner – chi era costui?
Erroll Garner è stato uno dei più importanti pianisti jazz.
Potremo dire pianista tout court, ma la distinzione con la musica “classica” la operava lui stesso e non per un senso di inferiorità, quanto per la consapevolezza di un approccio totalmente diverso – che poi è l’approccio “totalmente Altro” del fare jazz.
Garner rientra tra i pochissimi jazzisti storici a non aver ricevuto un’educazione musicale di base (al pari di Louis Armstrong e Sidney Bechet). Tuttavia, lui stesso nelle interviste sottolineava il lavoro di anni, la pratica esplorativa costante che gli ha permesso di trovare e sviluppare il proprio modo di suonare. La sua peculiarità era “sfasare” le mani, creando una gestione più fluida del timing, un “tirare indietro” o un “accelerare” della mano destra che conferiva un andamento al contempo spensierato e tensivo del discorso musicale, e rendeva intellegibili anche le volatine più veloci effettuate nel registro superiore, sul poderoso marcamento ritmico fornito dalla mano sinistra. La sua vena torrenziale lo portava a macinare elaborazioni, arricchimenti e stravolgimenti di melodie disparate, dai classici di Broadway ai Beatles (“Ringo è un caro amico, fanno belle cose” dice Erroll a un intervistatore). È stato un pianista in crescita, apparentemente inattuale nel suo continuare a essere swing, incorporando però umori del bop sorgente negli anni ’40, senza mai aderirvi totalmente. Come molti artisti poco etichettabili, è forse meno famoso di Charlie Parker, Miles Davis o pianisti quali Bill Evans e Thelonious Monk – sebbene la sua “Misty” sia una composizione celeberrima che ha fatto il giro del mondo, era ed è uno standard imprescindibile per ogni jazzista professionista. Ed è la composizione che dà il titolo al documentario di Georges Gachot.

Georges Gachot mi racconta del film al festival Seeyousound
Pianista e musicologo di formazione, Gachot negli anni diventa autore di documentari a tematica musicale, in particolare sulla concertista argentina Martha Argerich e su alcune icone della musica brasiliana (Maria Bethânia, Nana Caymmi e Joâo Gilberto).
Avendo letto che Errol Garner è il pianista jazz preferito di Gachot, riesco a fermarlo non appena entro al Cinema Massimo, dove sta avendo luogo il Festival Seeyousound. Anche Errol Garner è uno dei miei pianisti preferiti, così come Martha Argerich: l’intervista quindi può iniziare su un terreno condiviso. Con gli occhi curiosi e accesi, Gachot si apre subito a una conversazione informale. La prima cosa che mi dice è che Errol Garner nel 1971 ha suonato “qui accanto” – cioè nell’auditorium della RAI attiguo al Massimo: c’è un bootleg di quella esibizione, coi suoi due accompagnatori storici Ernest McCarty (contrabbasso) e Jimmie Smith (batteria), tra i protagonisti del film. L’intento di Gachot non è stato soltanto quello di realizzare un ritratto affettuoso nei confronti di Garner, ma anche svelare alcuni aspetti oscuri della sua vita e, soprattutto, restituirlo attraverso le testimonianze sentite di persone che hanno condiviso con lui musica e vita, tra cui la figlia Kim non riconosciuta e Rosalyn Noisette, l’ultima sua compagna. Un modo per queste persone di ricostruire e preservare il loro passato.

Una produzione difficile
Gachot ha impiegato cinque anni di lavoro per terminare il film e si sono avvicendati ben quattro montatori, che abbandonavano l’opera in corso. Si è trattato – come il regista stesso ha detto – di un opera “improbabile”, che si sarebbe anche potuta non realizzare, dato l’assoluto controllo sui diritti di edizione e riproduzione che ha esercitato per decenni Martha Glasier, la manager di Errol Garner, sulla sua eredità artistica.
Martha Glasier è stata un’intellettuale, scrittrice e attivista, che ha avuto il merito di aver gestito in modo abile la carriera di Garner, portandolo dai club alle sale da concerto, mettendolo al riparo da qualsiasi inconveniente di stampo razzista, rendendolo essenzialmente la star che è diventato. Lo ha protetto forse fin troppo, arrivando fino a gestire tutti gli aspetti della vita di Garner – ovviamente anche le entrate economiche – e negli ultimi anni persino a provare a imporgli un tipo di stile e repertorio.
Assorbito dal pianoforte e vittima di un sistema
Nell’intervista più formale che mi ha concesso dopo la proiezione, Gachot lo esplicita: “Penso che Errol Garner sia stato la vittima di un sistema” – un sistema in cui il genio “stralunato” afroamericano è tutto preso dalla creatività e dal ritmo, che pare non gli si possa proprio permettere di amministrare se stesso. Vero è che Errol Garner era un artista totalmente coinvolto dal pianoforte e dalla musica in generale: i bellissimi primi piani sulla sua faccia lo mostrano sudato, ridente e dolente allo stesso tempo, preso da un’emozionalità che probabilmente riusciva a gestire e comunicare soltanto suonando… è raro che un regista riesca a catturare visivamente questo aspetto. La stessa emozionalità che si avverte nella gratitudine appassionata e disinteressata di Ernest McCarty, per un musicista già affermato che ha creduto in lui, lo ha “addestrato” sul campo e gli ha permesso di vivere di musica; nelle smorfie innamorate di Rosalyn che ha vissuto un Errol privato, quello che non conosceva nessuno, quello che il suo profilo da star non lasciava trapelare.
Per il regista si è trattato di una vera e propria concertazione, in senso musicale, di elementi visivi e sonori differenti e di diversa origine (filmati, fotografie, manifesti, ricostruzioni di jam session e incontri privati, incisioni fonografiche, musiche appositamente realizzate per il film, dettagli sonori). L’uso di alcuni standard, trasformati dal pianismo di Garner, è coordinato semanticamente con le sequenze filmate: come non utilizzare Concert by the Sea, una delle migliori opere di Erroll, mentre Rosalyn passeggia nostalgicamente sul lungomare di Malibu che non ha potuto vivere degnamente col suo amato?

Curiosità: Erroll Garner e i testi delle canzoni
L’attenzione semantica da parte di Erroll Garner per i testi delle canzoni è stata la grande sorpresa di questo documentario. Non è scontato per chi suona e improvvisa in modo jazzistico. Si poteva ben immaginare che Garner si procurasse i dischi delle migliori orchestre in circolazione all’epoca, per poter carpire le melodie che gli interessavano nella loro compiutezza di scrittura – per poi lavorarci su. Gachot mi ha rivelato che Erroll leggeva e imparava i testi di tutte le canzoni che poi gli fornivano la base per l’elaborazione e l’improvvisazione: per lui le liriche erano un imprescindibile riferimento poietico.