La costruzione dell’immagine
L’imago è lo stadio finale dello sviluppo post-embrionale dell’insetto, quando ha raggiunto la maturità sessuale. È anche un concetto psicoanalitico elaborato da Carl Gustav Jung: il modo in cui le persone formano la loro personalità identificandosi con l’inconscio collettivo. Ciò basterebbe a descrivere il secondo lungometraggio di Olga Chajdas, già assistente di Agnieszka Holland, con all’attivo produzioni televisive quali The Deep End e The Border (per HBO), Cracow Monsters e 1983 (per Netflix).

L’immagine di sé è un processo di costruzione che passa attraverso lo sguardo degli altri, in particolare lo sguardo dei genitori, spesso della madre. Questi sguardi possono avviare il processo, ma anche soffocarlo o deviarlo, nella ricerca dell’immagine e dell’identità che più ci rappresenti o definisca.
Il gioco di specchi fra madre-figlia
Lena Góra interpreta la propria madre, Ela, cantante post-punk affetta da disturbo bipolare, che si muove in una Polonia di fine anni 80 a due passi dallo sgretolamento della cortina di ferro, mentre nel tessuto urbano pulsa (e urla) un sottobosco contro-culturale che invoca istanze di cambiamento e ribellione. Ma più che fotografia d’ambiente o squarcio storico-cronachistico, il film di Olga Chajdas parla di libertà e trasformazione. Un’emancipazione sociale e politica che passa in primo luogo per una definizione soddisfacente dell’immagine di sé e lo scardinamento di pattern imposti da abitudini, legami, rappresentazioni esterne. Ela è di volta in volta “madre cosmica” per la band cui si unisce per gridare il suo disagio; musa reificata per il suo amante-fidanzato che ritrae continuamente sé stesso e il corpo di lei; materia emozionale da catturare in foto (altre immagini) dal suo amico-fratello di scorribande; madre e moglie “inquadrata” secondo i dettami sociali e burocratici (a prescindere dalla fede politica o religiosa). Per Ela non c’è una via d’uscita; l’unico modo per riconoscersi sembra quello di scattarsi istantanee, alla ricerca di uno sguardo (l’occhio ossessivamente disegnato) che non c’è, oppure abbandonarsi al fermento artistico e relazionale della Tripla Città (dove le novità musicali arrivano di contrabbando dai marinai in attracco).

Un lavoro di squadra – anzi, da band
Sul piano sonoro, l’alternanza tra momenti calmi – dai toni medio-bassi del parlato o dei rumori domestici – e le sequenze roboanti e immersive nella musica e nell’esplorazione dei corpi… è un’alternanza netta, con uno switch di volume deciso, con i riff della band che suonano ipnotico-ossessivi e la tradizionale cetra della musica popolare più metallica e pungente che mai. I momenti musicali che costellano il film sono stati girati filmando esibizioni in tempo reale, per suggerire al meglio l’atmosfera performativa collettiva. Chajdas rivela che il connubio ricercato con le altre persone con cui ha collaborato in fase di lavorazione è assimilabile a quello di una band che porta avanti il suo progetto audiovisivo. Andrzej Smolik – storico tastierista polacco coinvolto per la colonna sonora – ha dichiarato d’aver ritrovato un certo modo di suonare e fare le cose insieme che aveva respirato da ragazzo in quella Polonia del cambiamento.
La completezza dei due orecchini
CHANGE è l’espressione che ricorre ed Ela pronuncia quando cambia di posto all’unico orecchino: in sede di intervista, Olga Chajdas mi precisa che il passaggio del monile da un orecchio all’altro è un mettere in gioco parti diverse di sé stessa, parti maschili e femminili della psiche che vengono attivate alla bisogna, nel percorso di ricerca della propria identità. Ma non si tratta di un problema di gestione della sessualità, quanto di definizione della personalità. E quando Ela finalmente calza due orecchini, è una sé stessa completa, in pace con sé stessa. La maternità accidentale non aiuta questa completezza (“Non è proprio la madre dell’anno!” ironizza Olga), ma anche questo può diventare un modo per essere sé stesse: un proprio modo d’essere madre senza condizionamenti. Difatti, la regista ha dichiarato in sala che il soggetto è partito confrontandosi con Lena Góra su “Cosa hanno combinato le nostre madri?!” – e il desiderio profondo della protagonista è espresso rivolgendosi alla piccola con: “Voglio solo fare un film, io e te” – senza qualcun altro che ci dica come e cosa fare. Un’imprescindibile sequenza finale che forse è proprio la chiave di lettura dell’intero film.
IMAGO (Polonia/Olanda/Repubblica Ceca, 2023) REGIA: Olga Chajdas SCENEGGIATURA: Lena Góra, Olga Chajdas SUONO: Jan Schermer, Ivan Horák Musica: Smolik FOTOGRAFIA: Tomasz Naumiuk MONTAGGIO: Pavel Hrdlička DURATA: 113’