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L’eterno ritorno del nuovo
Traendo la sua linfa musicale dal Funny Face di George e Ira Gershwin andato in scena nel 1927, Cenerentola a Parigi camuffa un cliché tipico del musical, quello dell’allestimento di uno spettacolo, nell’insolito allestimento di un servizio fotografico incentrato sulla collezione di un noto couturier. Ben più che un semplice espediente narrativo, il tema della moda permea il film: se Quality strizza l’occhio ad Harper’s Bazaar, il personaggio di Dick Avery è ispirato a Richard Avedon e le fotografie di quest’ultimo punteggiano la pellicola.
Tralasciando, seppure a malincuore, gli indimenticabili Givenchy che avvolgono la protagonista per passare ad altre riflessioni, si converrà che l’accostamento Hepburn/Astaire appare quantomeno audace, così come il fatto che il gap generazionale sia negato da un punto di vista caratteriale. È curioso che la giovane Jo Stockton abbia un’attitudine senile e che il non più giovane Dick Avery conservi una freschezza adolescenziale: a ben vedere la senilità si contrae nel momento in cui si fa proprio il pesante bagaglio culturale del vecchio mondo (qui espresso in un’esilarante versione empathicalist), ma per quanto âgé, un vero americano resta giovane per principio, finché non è affetto dal morbo della Cultura.
Come altri film del medesimo periodo (Sabrina, Papà Gambalunga e Arianna), Cenerentola a Parigi si può considerare una fantasia di ricostruzione da piano Marshall, strettamente connessa alla favola di Cenerentola, in cui il cambio d’abito si configura come accettazione di una nuova ideologia e trionfa il lieto fine, molto simile a un matrimonio combinato. L’Europa, economicamente figlia degli Stati Uniti, assume le sembianze di una sprovveduta vogliosa di abbracciare allo stesso tempo l’americano e l’ideologia capitalista, e pronta a concedere in cambio amore e capitale culturale. Nel film il corpo “affamato” della Hepburn si fa metafora dell’Europa devastata (ed è un corpo da modella che la rende perfetta per diventare quello che indossa), mentre l’obiettivo della macchina fotografica, a sua volta metafora dell’imperialismo statunitense, trasforma tutto in merce, dal panorama alla modella.
Così si celebra il legame incestuoso tra un americano maturo e una ragazzina filofrancese, tra un pezzo di storia del cinema e una nuova leva, con la consapevolezza che innovare guardando al passato è certamente una tendenza del musical di quegli anni, ma anche un fil rouge della moda: è l’eterno ritorno del nuovo.