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L’irresistibile leggerezza di essere “The Dude”
L’impegnato ed intenso premio Nobel per i suoi testi Bob Dylan che, nella magnifica The Man In Me, canta la la la la la è la perfetta rappresentazione della leggerezza, dell’allegria e del divertimento che caratterizzano il film di Joel Coen Il grande Lebowski.
Il regista prende la struttura del noir più classico alla Raymond Chandler, toglie ogni oscurità (anche con l’abbondante utilizzo dei colori pastello) e la riempe della luce del comico e del grottesco, mettendo al centro di tutto l’irresistibile “the Dude” Lebowski di Jeff Bridges, un Marlowe vestaglia e sandali, post hippie e pacifista, i cui pilastri esistenziali sono il bowling, la marijuana e il White Russian. In un vorticoso susseguirsi di gag esilaranti il film rotola come una palla da bowling sopra un tappeto (che “dava un tono all’ambiente”) usato come orinatoio, un ricchissimo omonimo in carrozzella, una moglie rapita, un torneo di bowling, un dito mozzato, un’artista in cerca di maternità, un produttore pornografico ed una banda di nichilisti tedeschi. In una Los Angeles dei primi anni novanta “the Dude” attraversa uno straripante caleidoscopio di umanità stravagante, stramba e sopra le righe, eppure assolutamente credibile: la sensazionale capacità di dare spessore anche ai personaggi minori (tra i quali il goffo padrone di casa con velleità da danzatore, il clamoroso e sprezzante Jesus di John Turturro, il remissivo e sfortunato Donny di Steve Buscemi), di raccontarli in poche battute e pochi gesti, è una delle grandi qualità della pellicola e del lavoro di Coen.
Accanto a Jeff Bridges troviamo un magnifico John Goodman, che nel ruolo Walter regala un’ altra formidabile interpretazione in un film dei Coen dopo l’agente assicurativo di Barton Fink, in un personaggio che a distanza di vent’anni è ancora terribilmente attuale nel parodiare (?) la rabbia e la frustrazione di una certa America. L’alchimia tra i due attori è essenziale nel dare vita ad una grande coppia comica, con Bridges spesso nel ruolo di spalla, in un rapporto tra i due che risulta essere una rappresentazione dell’amicizia maschile di rara autenticità.
A colorare in maniera decisiva i personaggi e le atmosfere dell’universo Coen c’è tantissima musica, curata da Carter Burwell (con il contributo di T-Bone Burnett). È curioso notare come alcuni brani siano utilizzati come delle vere e proprie colonne sonore specifiche per un singolo personaggio: la sognante ballata western anni quaranta Tumbling Tumbleweeds (dei Sons of the Pioneers ) per il cowboy voce narrante, il divertito Cha cha cha latino-americano Mucha Muchacha (di Juan García Esquivel) per Bunny Lebowski, l’enfatica Messa di Requiem in Re minore (di Wolfgang Amadeus Mozart) per l’altro Lebowski, la frenetica versione dei Gipsy Kings di Hotel California (degli Eagles) per Jesus ed il suo balletto, la scanzonata Lookin’ Out My Back Door (dei Creedence Clearwater Revival) per “the Dude”.
Memorabile è poi una scena onirica che, sulle splendide note di Just Dropped In (To See What Condition My Condition Was In) di Kenny Rogers & The First Edition, unisce musical anni quaranta (scenografie, costumi e ballerine) e rock psichedelico anni sessanta, in uno sfavillante ed ironico tripudio di immagini e suoni.