[:it]
I Fall In Love Too Easily
“Evado sempre nel regno della fantasia, io, poiché ebbi un’infanzia infelice. Vengo da una famiglia poverissima. Mio padre lavorava a Coney Island, la spiaggia popolare di New York. Aveva in concessione un baracchino, tipo tre-palle-un-soldo, dove uno doveva buttar giù le bottiglie di latte, vuote, con palle da tennis, cosa che io non riuscii mai a fare, durante l’intera infanzia”. (Woody Allen, Monologo)
Un paio di anni fa, nel corso di una lunga corrispondenza, Eric Lax, noto giornalista nonché biografo e intimo amico di Woody Allen, mi disse che il mondo del regista newyorkese poteva essere riassunto attraverso dei topos della sua cinematografia: la magia, la filosofia e il clarinetto.
Chi conosce il cinema di Allen questo lo sa; motivo per cui si ostina a entrare nel buio della sala anno dopo anno, desideroso di ascoltare una nuova storia che parla di illusioni accecanti quanto la luce di un vecchio proiettore. Capire il cinema di Allen significa infatti risolvere un rebus di elementi ricorrenti che ne compongono la sterminata filmografia, gli stessi che riscontriamo anche ne La ruota delle meraviglie.
Giunto al suo 47° lungometraggio, Woody Allen, che per la seconda volta si avvale della preziosa collaborazione di Vittorio Storaro, il quale illumina il set di colori avvolgenti da pièce teatrale, mette in scena un dramma delle illusioni che ricorda il beffardo gioco fatale di Match Point. Qui l’ambientazione nella metaforica Coney Island, dove “soapsuds all around/bubbles on the ground” – per citare uno dei pezzi della colonna sonora del film, Coney Island Washboard dei The Mills Brothers – diviene luogo d’elezione per rappresentare la crudezza della realtà e la meraviglia delle illusioni. Una dicotomia naturale nel cinema alleniano, che si risolve con l’assoluta necessità di lasciarsi trasportare ma non fagocitare da queste ultime – un po’ come Cecilia in La rosa purpurea del Cairo.
Al contrario, Ginny trova una sua specifica esplicazione nella hit di Jo Stafford You Belong to Me; ballad che si colora così di connotati trasognati e struggenti, riuscendo a evocare perfettamente i sogni infranti e la conseguente follia della protagonista. Mentre un’aura di ingenua speranza caratterizza invece Red Roses for a Blue Lady, pezzo legato a Carolina, qui nella versione di Vaughn Monroe del 1949.
Una sciarada in cui Allen gioca coi suoi elementi ricorrenti, inserendo così Kiss of Fire di Georgia Gibbs (1952) con un grottesco e spiritoso riferimento al piccolo piromane Richie , il quale a sua volta si fa incarnazione di tutti i piccoli alter ego alleniani; da Io e Annie, in cui il protagonista ricorda la propria infanzia in una casa sotto alle montagne russe di Coney Island, a Radio Days.
Spingendosi vicino al suo noto e personalissimo limite in ambito di cultura musicale, – “Non so niente della musica uscita dopo il 1950. Ascoltarla è un tormento. Mi piacciono solo la classica e il jazz” – Woody Allen mette a punto per La ruota delle meraviglie una colonna sonora raffinata e composta perlopiù da pezzi in voga negli anni ’50. Popular songs, mai standards, che forse sono in grado di tratteggiare al meglio il carattere di personaggi semplici e destinati a essere relegati a un falso mondo scintillante come quello del luna park. Qualcosa che, in un certo senso, ricorda i pezzi di Nick Apollo Forte in Broadway Danny Rose. Non a caso, è proprio l’aspirante drammaturgo Mickey a farsi metafora di un repertorio diverso, ma sempre complementare, citando soltanto I Fall In Love Too Easily. Un pezzo che, in qualche modo, racchiude il significato ultimo del film stesso.
SCHEDA TECNICA
La ruota delle meraviglie (Wonder Wheel, USA, 2017) – REGIA: Woody Allen. SCENEGGIATURA: Woody Allen. FOTOGRAFIA: Vittorio Storaro. MONTAGGIO: Alicia Lepselter. MUSICHE: Artisti vari. CAST: Kate Winslet, Juno Temple, Jim Belushi, Justin Timberlake. GENERE: Drammatico. DURATA: 101′
[/column][:]