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Pulsazioni travolgenti
La colonna sonora di The Wolf of Wall Street è talmente variegata che è impossibile non solo individuare un genere prevalente, ma anche una funzione univoca degli aspetti musicali. L’operazione compiuta è un vero e proprio montaggio, dato che spesso le canzoni sono fatte a pezzi, dunque soltanto accennate: poche battute, in ogni caso sufficienti ad arricchire le immagini di un nuovo livello di significato.
Di certo, un po’ come avviene per i costumi di Sandy Powell, la musica ha il compito di inquadrare la vicenda da un punto di vista temporale (come Insane in the Brain o Baby Got Back) e spaziale (Gloria per l’Italia, Ça plane pour moi per la Svizzera), operazione d’obbligo per un biopic.
C’è poi da notare una certa insistenza sul blues del Delta o comunque esplicitamente modellato su quella tradizione (Elmore James, Howlin’ Wolf, Bo Diddley): Scorsese sembra servirsene per suggerire un’atmosfera faustiana, legando la parabola da gangster movie di Jordan Belfort all’idea del bluesman maudit, ma non solo. Se si può riscontrare un filo conduttore nelle scelte musicali del film è la quasi totale prevalenza di canzoni con un forte impatto ritmico e finanche pulsionale, di cui il blues rappresenta uno dei massimi vertici. Insomma, dato che The Wolf of Wall Street non è un film dalle emozioni forti, ma dalle pulsioni forti, da un punto di vista musicale sono banditi i sentimentalismi e le melodie struggenti per far posto ad una forte pulsazione, dunque a una ritmica marcata. Blues, rock, punk e hip hop elencano le tante facce di un primitivismo strettamente ancorato ad un ‘qui e ora’, tempo del desiderio che finisce per rivelare il suo rovescio: l’annientamento.
Vale la pena, a questo punto, aprire una parentesi su una formula coniata da certa critica, che ha definito The Wolf of Wall Street un film punk, più che altro per la sfrontatezza dei contenuti. Tuttavia, se di punk si può parlare, non è certo per via del contenuto, casomai per come viene formalizzato. A livello musicale non è la presenza di una canzone punk in senso stretto a concorrere alla definizione, quanto il ricorso alle cover, che scomodano citazioni musicali o cinematografiche, polverizzando i modelli di riferimento con un allarmante furore iconoclasta. Più ancora che Sloop John B, l’esempio più lampante è Mrs Robinson, per il suo richiamo al Laureato (citato anche a livello visivo): è un po’ come dare un poderoso calcio al sistema di valori della New Hollywood, sbandierando disillusione e cinismo. Va da sé che è il sottinteso slancio collettivo, tipico di quel cinema, a rappresentare un bersaglio, tanto è vero che per i personaggi di The Wolf of Wall Street, monadici e autoriferiti, ogni tentativo di condivisione finisce per risultare grottesco, basti pensare al motivetto rituale intonato dal mentore di Belfort o al party scandito da The Stars and Stripes Forever.
Continuando il confronto si può constatare che da un punto di vista strettamente formale il punk legittima una banalizzazione stilistica e tende alla distruzione della musica stessa. Forse, anche alcune scelte registiche di Scorsese, come l’insistenza sul monologo e lo sguardo in macchina, possono essere lette come gesti iconoclasti, che perpetrati da un autore risultano ben più trasgressivi rispetto alla vicenda narrata. Si potrebbe obiettare che in ogni caso The Wolf of Wall Street è un film perfettamente inserito nella macchina hollywoodiana, per cui risulterebbe contraddittorio definirlo film antisistema. Poco importa: in fondo la contraddizione era congenita al punk stesso, nato in seno a un’industria discografica che si proponeva di criticare. Scorsese ne è chiaramente consapevole ma cavalca l’ambiguità, tanto che, come per accadeva per molti film della New Hollywood, c’è chi si chiede quale sia la sua posizione.