Biografilm 2022: Licht – Stockhausen’s Legacy

Dal Biografilm Festival 2021, le riflessioni di Alessandro Guatti su "Licht - Stockhausen's Legacy", il documentario che racconta l'allestimento della grandiosa opera di Stockhausen.


Voto al film:

La grandiosità di un’opera e la genialità del suo autore

Se per definire Licht, il ciclo di sette opere composte da Karlheinz Stockhausen tra il 1958 e il 2003, sono stati impiegati aggettivi come “gargantuesco” o “impraticabile”, possiamo immaginare quanto sia stato titanico lo sforzo congiunto di Holland Festival, De Nationale Opera, Koninklijk Conservatorium Den Haag e Stockhausen Foundation di allestire per la prima volta nella storia una maratona (intitolata significativamente Aus Licht) comprendente larghe porzioni di ognuna di queste sette opere.

Licht, infatti, avrebbe una durata totale approssimativa di 29 ore, si dovrebbe eseguire in diversi luoghi nell’arco di una settimana (ogni opera è intitolata a un giorno) e prevede un ingente lavoro di pre-produzione e di produzione, anche perché il compositore non si è limitato a scrivere la musica ma ha espressamente prescritto una serie di indicazioni molto specifiche che potremmo definire “regia”, visto che abbraccia un vasto insieme di dettagli che spaziano dai movimenti dei musicisti all’uso di elicotteri.

Nel 2017 le sopracitate realtà hanno unito le forze e iniziato il lavoro per portare Aus Licht finalmente in scena. Ci si sarebbe dunque aspettati che il film di Oeke Hoogendijk, regista danese avvezza a progetti di lunga gestazione (The New Rijksmuseum ha seguito la ristrutturazione del Rijksmuseum di Amsterdam per dieci anni), documentasse in modo molto approfondito tutto il lavoro preparatorio, l’allestimento e la produzione di questo grande opus musicale. Invece la regista, pur non trascurando l’oggetto principale della narrazione, lo diluisce in un racconto che vuole identificare Licht come il lascito testamentario di Stockhausen (intenzione peraltro confermata dal titolo del film), cercando di ricostruire la personalità sfaccettata dell’autore attraverso interviste a musicisti e membri della famiglia. È vero che Stockhausen non ha mai avuto modo di vedere rappresentato l’intero ciclo (è morto nel 2007 e solo qualche parziale tentativo era stato attuato alla Scala nel 1981, nel 1984 e nel 1988 e a Lipsia nel 1983 e nel 1988) ma non è così scontato che tale ciclo – pur data la sua complessità anche musicale – si possa considerare come summa della sua concezione della musica. Stockausen era incredibilmente prolifico e le sue composizioni musicali comprendono opere, musica elettronica, ricerche sulla spazializzazione in musica e molto altro.

Se il documentario si apre con una serie di dichiarazioni sulla vera essenza di Licht (comprendenti, suggestivamente, certi fallaci tentativi di definizione della stessa), lo svolgimento si inclina poi verso il lato umano di Stockhausen, approccio senz’altro utile a inquadrare la grandiosità del ciclo operistico ma rischioso in un’ottica cinematografica: la narrazione sembra non avere una chiara direzione da seguire, oscillando alternativamente tra i toccanti ricordi dei figli e la grandiosità di un allestimento monstre. Forse la causa di questo sdoppiamento è da ricercare nell’affidamento della direzione musicale di Aus Licht a Kathinka Pasveer, affiancata da Suzanne Stephens-Janning come consulente musicale e drammaturgica: le due donne (clarinettista la prima, flautista la seconda) sono state contemporaneamente compagne di Stokhausen per oltre vent’anni, in un riconosciuto menage à trois che se allora poteva suscitare qualche pruderie si vede oggi accettato senza grossi problemi come forma poco scandalosa di poliamore. Le due musiciste sono state giustamente coinvolte dalla produzione sia in quanto esplicite destinatarie di alcune composizioni all’interno dell’opera, sia in quanto compagne di Stockhausen e quindi tendenzialmente in grado di offrire un’interpretazione molto accurata delle scelte musicali e registiche del compositore, rivelandone le intenzioni profonde alla base.

Ed è qui che forse il materiale su cui Hoogendijk lavora diventa troppo abbondante per essere efficacemente gestito: nel tentativo di approfondire il ritratto umano (raccontando la vita al di fuori degli schemi, il carattere estraneo ai compromessi, il rapporto problematico con i familiari) si tralasciano importanti aspetti musicali. Perché Stockhausen ha scritto determinate cose? Perché ne ha scritte altre in un certo modo? Perché ha voluto elementi incredibilmente innovativi come gli elicotteri? Cosa significano quei movimenti di scena che ha espressamente concepito? Probabilmente nemmeno Pasveer o Stephens-Janning hanno le risposte a tutto, ma la sensazione che resta allo spettatore del documentario è che si sia rimasti sulla superficie di qualcosa di grandioso. E questo vale non solo per la composizione Licht (lo svelamento del cui significato non è forse richiesto a un documentario di questo tipo) ma anche per l’allestimento stesso di Aus Licht: pochissimo è detto sulle scelte registiche dello stage director Pierre Audi, sul suo confrontarsi con una tradizione esecutiva o con la composizione stessa.

Alla luce di tutto ciò, Licht – Stockhausen’s Legacy resta comunque un documentario interessante, che ha il merito di restituire sia la complessità del ciclo operistico sia quella del suo autore.

SCHEDA TECNICA
Licht – Stockhausen’s Legacy (Paesi Bassi, 2021) – REGIA: Oeke Hoogendijk. FOTOGRAFIA: Gregor Meerman. MONTAGGIO: Sander Vos. MUSICA: Karlheinz Stockhausen, Michel Schöpping. CAST: Kathinka Pasveer, Suzanne Stephens-Janning, Pierre Audi. GENERE: Documentario. DURATA: 120′.

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