




In apertura del suo Les immortelles, Caroline Deruas Peano si rivolge – per bocca di una delle protagoniste – direttamente agli spettatori, mettendoli in guardia: chi non crede al potere infinito dell’amicizia farà bene ad uscire dalla sala cinematografica. Gli altri sono invitati a spalancare occhi, cuore e orecchie e a lasciarsi trasportare dalla coinvolgente storia di crescita e passione di due ragazze all’ultimo anno delle scuole superiori che condividono l’amore per la musica.
Ciò che unisce Liza e Charlotte è, a dir la verità, un legame che va oltre l’amicizia: non tanto per l’intensità del rapporto o per la reciproca dipendenza (e nemmeno per la cerimonia dello scambio delle promesse in forma religioso/matrimoniale inscenata dalle due quando ancora erano bambine), ma perché il loro affetto riesce a travalicare la morte e l’assenza e a ricongiungere le due ragazze in un aldilà molto particolare.
Se il tono del film è prevalentemente leggero, la regista francese è abile nell’inserire con una certa naturalezza l’elemento tragico all’interno del racconto, usandolo come grimaldello narrativo per rendere manifesta la sua tesi sull’amicizia. Preannunciata da eventi-sentinella, la tragedia irrompe nella quotidianità di queste due giovani sull’orlo dell’età adulta, lasciando l’una ad elaborare l’assenza dell’altra come tappa fondamentale della propria crescita e dell’affermazione di sé. Come illustra l’insegnante di filosofia, il sé deve creare il non sé e il non sé è necessario al sé.
La seconda parte del film è così dedicata a questa ri-costruzione personale e – sebbene la sceneggiatura non sia perfettamente bilanciata a livello di scrittura – due elementi appaiono particolarmente significativi. Il primo è il fatto che in questo percorso vengono riscritti anche i rapporti familiari della protagonista, nell’ottica di una nuova solidarietà femminile; il secondo è rappresentato dall’evolversi del suo rapporto con la musica. Parte sostanziale del legame tra Charlotte e Liza è infatti rappresentato dal suonare e cantare insieme: il loro duo Mutande sporche rappresenta sia la volontà di ri-generare e aggiornare i loro modelli ispirazionali (in particolare il duo Les Rita Mitsouko) sia la necessità di infrangere le regole di una società normativa, patriarcale, ingabbiante ed asfissiante. La libertà del linguaggio dei loro testi anticonformisti e osé, unita all’audacia dell’abbigliamento e all’ironia della loro gestualità, rivela una necessità di esprimersi che solo nella musica sa trovare una soddisfacente valvola di sfogo.
Tale libertà trova perfetta corrispondenza nella regia di Deruas Peano, che delinea un vero e proprio universo musicale tramite uno stile ad hoc – fatto di riprese in 4/3 e grana simil-SD (standard definition, ovvero bassa qualità), a imitazione dei videoclip anni Novanta trasmessi da MTV – che subentra anche nelle sequenze oniriche, concretizzando a livello visivo l’aspetto teorico su cui è basato il film. Se l’amicizia ci rende immortali, per Liza e Charlotte è la musica (cinematograficamente, quella di Calypso Valois) a renderlo possibile.
Profondo e irriverente quanto basta, ironico e gioioso come le sue protagoniste, Les immortelles è un vero inno all’amicizia e alla sua purezza, ma anche al potere catartico della musica.