I villeggianti

Edoardo Graziani su I villeggianti, modesta quarta regia di Valeria Bruni Tedeschi

Voto al film:

Più pasticcio che pastiche

Il giorno della partenza per le vacanze, da passare nella solita grande villa di famiglia, Anna viene lasciata dal suo compagno. Inizia così, in bilico tra il dramma e la commedia, la lunga elaborazione psicologica di questa separazione inaspettata e ancora inconfessabile, a se stessa prima ancora che agli altri familiari e amici, che la aspettano nella villa e continuamente chiederanno notizie circa l’assenza del compagno.

Con I villeggianti Valeria Bruni Tedeschi, alla sua quarta regia, innerva la narrazione e la messa in scena di elementi autobiografici, inserendo familiari che interpretano se stessi (la madre e la figlia), echi di vita reale (la fine della sua relazione con Louis Garrel, la morte del fratello) e omaggi cinefili in gran quantità (non ultimo un cameo del grande regista Frederick Wiseman).

Piuttosto comprensibile che per venire a capo di questo intreccio pur affascinante fra autobiografia e finzione (“autobiografia immaginaria” l’ha definita lei stessa) la regista scelga di spingersi nel territorio del metacinema, calandosi nei panni di una regista che cerca di scrivere e girare un film che tratterà della morte del fratello e ad aiutarla chiamerà la sua amica e sceneggiatrice Noémie Lvovsky: sceneggiatrice nel film che si sta scrivendo e sceneggiatrice del film che stiamo vedendo.

Nella villa, personaggi alla deriva circondano Anna, amici e parenti di vecchia data tutti, chi più chi meno, avvolti da una aura di fallimento e decadenza, dalla sorella Elena, moglie infelice di un industriale in fallimento, alla servitù, che vanamente cerca di affrontare con i padroni di casa un discorso serio su ferie e straordinari, senza mai riuscirci.

L’unità di luogo naturalmente obbliga ad una continua interazione i personaggi, permettendo così ai drammi, alle crisi, agli innamoramenti, alle eventuali pacificazioni di svolgersi e intrecciarsi, e dichiara così anche una certa impronta teatrale (checoviana, come ha rilevato Mereghetti) che la Bruni Tedeschi ha voluto dare al suo racconto e di cui, la suddivisione del film in tre atti e un epilogo, è l’ulteriore conferma.

La regista lega tutta questa complessa coralità di storie e personaggi con alcune felici intuizioni e qualche scivolone: su tutti, il trittico familiare che si occupa dei lavori e delle incombenze domestiche, scritto con una certa fastidiosa e aristocratica leggerezza; tuttavia il film scorre via piacevolmente, anche aiutato da un cast perfettamente a proprio agio e una vena surreale che, a tratti, riesce a tenere in equilibrio i toni più drammatici con quelli brillanti tipici della commedia.

Una posizione piuttosto importante nel film è occupata dalla musica, quasi onnipresente: quella scritta ad hoc per la pellicola dal sempre raffinato Paolo Buonvino, quella aggiunta in colonna sonora, come lo spassosissimo Duetto buffo di due gatti di Rossini e quella suonata direttamente nel film, grazie alla presenza di un pianoforte nella villa, utile a ravvivare le giornate dei vari protagonisti e a riempire di musica ogni momento della vita familiare.

Accade così che le due sorelle abbiano l’occasione di cantare insieme Ma che freddo fa, famosa hit di Nada del 1969, un brano che, leggendo il testo, si interseca piuttosto bene con i drammi interiori delle protagoniste, che con voce rotta da un pianto che vorrebbero tentare di contenere, la intoneranno in uno dei momenti più intensi del film.

In una ricercata e forse troppo esibita volontà di raccontarsi, la pellicola si chiude su un set cinematografico, nella quale Anna, sta finalmente girando il suo film. La trovata del film nel film, quadra idealmente un cerchio in cui storia personale e finzione scenica si mescolano costantemente, giocando ad abitare l’uno i mondi dell’altra, sgretolando vieppiù i confini che li separano. Così in una metaforica nebbia finale, tutto diviene confuso, impossibile da distinguere e definire. Arte e vita, memoria e finzione, si mescolano in modo indistricabile: ma se da un lato non si può non apprezzare il coraggio di giocare in modo così scopertamente sincero con la propria vita, fino a trasformare la pellicola quasi in una pagina di diario, dall’altro questa spirale citazionistica e autoreferenziale, che vorrebbe essere il motore del film e in qualche modo anche la sua intuizione portante, ne sancisce purtroppo una sostanziale empasse, da cui il film fatica a districarsi, senza mai riuscirci del tutto.

SCHEDA TECNICA
I villeggianti (Les estivants, Italia-Francia, 2018) – REGIA: Valeria Bruni Tedeschi SCENEGGIATURA: Valeria Bruni Tedeschi, Noémie Lvovsky FOTOGRAFIA: Jeanne Lapoirie. MUSICHE: Paolo Buonvino. CAST: Valeria Bruni Tedeschi, Pierre Arditi, Valeria Golino, Riccardo Scamarcio. DURATA: 125’

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