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Intervista a Toby L.
In occasione dell’anteprima italiana di Blur – To the End che aprirà a Torino il Seeyousound 2025, abbiamo intervistato Toby L., il regista di questo interessante documentario che racconta prove e concerti dell’ultimo album della storica band britannica dei Blur, The Ballad of Darren, trasformandoli in un’occasione per riflettere sul tempo che passa e sull’amicizia ed evitando sapientemente una semplice celebrazione nostalgica per farci scoprire chi sono, davvero, i Blur.
Alessandro Guatti: Perché i Blur? Come mai la decisione di fare un film su di loro?
Toby L.: Innanzitutto perché credo che i componenti della band siano persone molto diverse e quindi in grado di creare un mix di personalità cinematograficamente interessante. In secondo luogo, non si poteva perdere l’occasione di documentare una loro reunion dopo otto anni sapendo che sarebbe sfociata in un doppio concerto al Wembley Stadium, un luogo veramente iconico, noto a livello mondiale ad esempio per il Live Aid. Era l’occasione d’oro per cogliere un nuovo capitolo della loro storia, forse l’ultimo capitolo: chi può dirlo? Volevo concentrarmi su ciò che rendeva diversa questa reunion da quelle precedenti: partire da dove Alex e gli altri sono adesso, in termini di momento della vita, di relazioni interpersonali. Pensavo che sarebbe stato interessante guardare attraverso questa lente alla luce degli incredibili risultati che hanno raggiunto in tutti questi anni.
A. G.: Possiamo dunque dire che sei stato mosso sia dal tuo essere un loro fan sia da una curiosità esterna che ti spingeva a guardarli come soggetto cinematografico per via della loro interessante storia musicale?
T. L.: Esatto. Quando hai una conoscenza approfondita dell’oggetto del tuo racconto c’è sempre il timore di non riuscire a raccontarne la storia in modo oggettivo perché rischi di spingere i soggetti verso una determinata direzione. Io che sono un fan sia di loro in quanto band sia di loro come persone singole, sentivo come regista la grande responsabilità di trovare la verità nelle varie situazioni e credo – spero! – che il pubblico percepisca che i Blur hanno raggiunto risultati incredibili nella loro carriera ma che sotto, nel film, c’è una storia molto personale e si vedono i rapporti, le relazioni di ognuno dei musicisti con sé stesso, con i colleghi e con il mondo esterno. Si capisce cosa comporti in ogni momento, per loro, la decisione di far parte di questa band, ma anche quella di riconnettersi ai propri amici, il che – si sa – dopo anni non è mai facile. Mi auguro che il pubblico comprenda che quando si parla di risultati raggiunti anche questi più intimi e personali sono importanti.
A. G.: Infatti credo che questo film parli sia ai fan della band sia a un pubblico più vasto che la conosce in modo meno approfondito: tu sei molto abile nel connettere questi due aspetti, la loro storia personale e la storia musicale del gruppo. Anche perché sotto il ritratto della band credo che il vero tema del film sia il rapporto tra il presente (il nuovo album, le prove, i concerti) e il passato (individuale e collettivo), che tu poni in dialogo attraverso un uso intelligente di materiali d’archivio e di voice-over.
T. L.: Esattamente: il mio obiettivo era far coesistere passato e presente perché il modo in cui noi viviamo è fortemente connesso all’oggi. Noi stiamo conversando oggi, 19 febbraio 2025, ma persino l’argomento del quale parliamo è riferito a un film che ho girato un anno, un anno e mezzo fa, quindi sto usando sia la mia immaginazione sia la mia memoria nel ripensare a quel progetto, a cosa era stato discusso e deciso quando era in fase embrionale. Ora noi siamo fisicamente qui ma stiamo usando le nostre menti e le nostre emozioni per tornare in un altro luogo e questo era ciò che volevo ottenere dall’archivio: sentire che siamo qui e ora, con il film, nella sala cinematografica, con la band e improvvisamente ricevere questo calore anni ’90 o ’80 che ci permette di guardare indietro nel tempo con la prospettiva dell’oggi. Credo che talvolta i documentari si limitino ad andare semplicemente indietro nel tempo per farci percepire un certo periodo come se fosse il nostro presente. Io volevo che questo film riflettesse invece il presente piuttosto che parlare soltanto del passato e del percorso che ha condotto i protagonisti fino a qui.
A. G.: E io ho trovato infatti estremamente interessante che nel film venga detto che le canzoni sono più attuali oggi di quando furono scritte. È come se fossero una chiave per capire il tempo e i cambiamenti avvenuti sia nella carriera musicale della band sia nella storia personale dei musicisti.
T. L.: Assolutamente, credo che Damon (Albarn, leader del gruppo – n. d. r.) sarebbe molto d’accordo con quanto hai appena detto. Se pensi ai testi di alcune sue canzoni (Damon è molto bravo e famoso per i suoi testi) ti rendi conto di come abbiano in un certo senso anticipato o previsto una certa evoluzione della nostra società. Il video stesso di Universal (magnificamente girato da Jonathan Glazer) mostra un ambiente in cui gli esseri umani sono condizionati dalle macchine, in un modo che richiama da vicino 1984 di George Orwell (nonché Arancia meccanica di Stanley Kubrick, n. d. r.). Se lo confronti con la realtà del 2025 è piuttosto scioccante e spaventoso. Io credo che la musica dei Blur sia molto interessante perché per quanto abbiano un sound abbastanza semplice si trova sempre nelle loro canzoni una certa complessità e forse è per questo che ancora oggi risulta una band interessante: sotto l’impianto melodico, hanno una grande profondità tematica e una nota profetica.
A. G.: …che ci permette di leggere la nostra società nei loro testi…
T. L.: Esattamente. La musica è interessante perché ci permette di fare delle connessioni, dei collegamenti, oltre che imparare qualcosa su noi stessi e sulla società in cui viviamo. Ovviamente anche i film e i documentari sono delle connessioni perché io voglio relazionarmi ai Blur come esseri umani e non solo come pop stars. Volevo sottolineare come il loro riavvicinamento, la lenta “riparazione” della frattura che si era creata tra di loro, ha permesso loro di fare qualcosa di straordinario. Viviamo in un mondo in cui ci dicono che non dobbiamo aiutarci tra di noi, che dobbiamo escluderci a vicenda, che gli altri sono pericolosi, che non dobbiamo mescolarci, unirci, condividere… Io non sono d’accordo: credo che siamo più forti come civiltà se siamo una collettività, quando ci supportiamo vicendevolmente. Spero perciò che nel suo piccolo anche il mio film faccia riflettere su questo, ricordando alle persone quanto abbiamo in comune l’uno con l’altro.
A. G.: Ho notato che nel film si nomina anche la Brexit a supporto della “contemporaneità” dei testi, o meglio del loro offrire – cito – un “social commentary”…
T. L.: Sì, la politica è importante, tanto nelle canzoni dei Blur quanto nella società in cui viviamo. L’Europa sta attraversando cambiamenti davvero spaventosi. Forse la Brexit è stata la prima battuta d’arresto in un andamento consolidato ad aver avviato una sorta di reazione a catena. Sono consapevole del periodo che state attraversando in Europa. È un momento molto strano, in cui il controllo della società per mezzo della paura sta dilagando. Per questo credo che sia utile ricordare alle persone che è il popolo ad avere il potere. Siamo tutti migliori quando ci supportiamo, ci aiutiamo. Ricordiamoci che un album dei Blur, uscito nel 1993, si intitolava Modern Life is Rubbish (La vita moderna è spazzatura). Se ne parla anche nel film proprio perché analizzando la società contemporanea si può notare che per certi aspetti questa frase è ancora veritiera. È una sottile esplorazione di come certi comportamenti e certe linee politiche purtroppo non si evolvono quanto vorremmo.
A. G.: Sono d’accordo e a questo proposito vorrei chiederti qualcosa sul ruolo dell’intellettuale nella società, perché nel tuo film si dice che “l’intellettuale è uno specchio”: puoi commentare questa affermazione?
T. L.: Credo che ciò che un artista scrive sia il riflesso di ciò che vede nell’atto di comprendere la società. Ciò che Damon scrive riflette ciò che egli vede nella sua anima osservando la realtà. Ritengo che ciò possa rappresentare un buon promemoria per il pubblico, affinché si ricordi che tutti abbiamo il potere di raccontare storie che ci permettano di affrontare le sfide che stanno per presentarsi a noi nel 2025: corruzione, avarizia, violenza dei leader…
A. G.: Ora una domanda più tecnica: come hai ottenuto la fiducia della band per poterti muovere con tale vicinanza ai musicisti, anche nei momenti più personali?
T. L.: Tecnicamente avevo una troupe molto piccola: un fonico e un operatore di macchina. Se ci fossero state più persone si sarebbe rovinata l’atmosfera di intimità che avevo creato. In questo modo la nostra presenza non era molto invasiva. La camera era tenuta a mano quindi anche a livello di attrezzatura eravamo leggeri e potevamo gestire un senso di vicinanza sia estetica e visiva sia concettuale. Tutto era organizzato per ricreare quell’intimità che si riflette nella storia personale che volevo raccontare. Naturalmente è un equilibrio non semplice da mantenere, perché bisogna sempre assicurare il rispetto e la gentilezza verso chi è ripreso. Non bisogna spingere per avere le risposte giuste o il momento esteticamente perfetto. Ci è voluto un po’ di tempo ma sono riuscito ad avere la loro fiducia e io sono loro davvero molto grato per ciò che hanno fatto e per ciò che mi hanno permesso di fare, perché mi hanno fatto sentire molto forte e molto sicuro di me.
A. G.: Un’ultima domanda su un’espressione usata nel film che trovo bellissima e che mi ha colpito: vorresti definirmi l’”Hunger for the sublime” (“fame di sublime”)?
T. L.: È un’espressione riferita allo stato in cui si è mentre ci si esibisce, quando si è sul palco ma non si è veramente lì: non si è presenti in quel momento, con il pubblico, ma si è trascinati via. Tutto diventa trascendente e il cantante o il musicista si sente in un altro mondo, mentalmente e spiritualmente. È la misura di una magia.
SCHEDA TECNICA:
Blur: To the End (UK, 2024). REGIA: Toby L. FOTOGRAFIA: Sebastian Cort, Rhys Warren. MONTAGGIO: Danny Abel. CAST: Blur. GENERE: Documentario. DURATA: 105’.