The Doors

Federica Maragno su The Doors di Oliver Stone

Voto al film:

I Doors secondo Oliver Stone

The Doors è una riscrittura autoriale della vita di Jim Morrison. Anche se il film dà grande peso alla musica e instaura una corrispondenza biunivoca tra le scene e le canzoni dei Doors, con uno stile di regia e montaggio che in epoca d’oro di MTV non fa che strizzare l’occhio al videoclip, Oliver Stone isola la figura di Morrison, inteso come icona culturale, più poeta che rockstar, lasciando agli altri membri della band e al loro entourage il ruolo di comprimari.

Stone vagheggiava un film imbevuto di Doors sin dagli inizi della sua carriera cinematografica, tanto che Break, una sceneggiatura del 1969, abbinava una vicenda sul Vietnam, una guerra vissuta dal regista in prima persona, alle musiche del gruppo; il ruolo del protagonista doveva essere di Jim Morrison stesso.

Alla luce dei film poi effettivamente realizzati e tenendo presente l’autobiografismo come cifra autoriale del regista, è come se l’esperienza del Vietnam, rielaborata tardivamente secondo una modalità tipica del cinema statunitense, si fosse sdoppiata in un campo/controcampo tra Platoon e The Doors: lì il dramma reale della coscienza, qui il dramma onirico dell’inconscio.

Sia in Platoon che in The Doors, l’autenticità, più che a una smania di realismo, corrisponde all’autenticità della memoria. In entrambi i casi, la vicenda diviene paradigma universale e archetipico del conflitto: da un lato il Vietnam, che stringe l’individuo in una morsa fratricida e addirittura lo pone in lotta con se stesso; dall’altro la poesia apocalittica di Morrison, erede della poetica della visione di Blake e Rimbaud, che trae origine dal dualismo dei contrari – basti pensare alla contrapposizione tra giorno e notte di Break on Through o a quella tra nuotare e annegare di Moonlight Drive – e urla la necessità di una palingenesi, annunciando l’avvento di nuove creature, come si legge nel titolo di una sua raccolta di poesie. In più, con il suo rito dionisiaco e il costante riferimento alla cultura dei nativi, Morrison inscena ed esorcizza l’eterno ritorno del rimosso di una nazione nata nel sangue, che si rigenera attraverso la violenza. Ripulire le porte della percezione significa ripristinare una condizione adamitica che porti con sé un principio di armonizzazione trascendente, se non addirittura mistico. La posta in gioco è altissima: uscire dal pantano del dualismo, ovvero, tornando al Vietnam, rimarginare la ferita psichica della guerra.

Non è il racconto delle azioni che importa a Stone, ma la mimesi delle azioni, propria della tragedia. Costruisce il suo Jim Morrison come un personaggio tragico, ambiguo e irrisolto, attratto dal dolore e dalla morte (pathei mathos, direbbero gli antichi greci, intendendo la sofferenza che porta alla comprensione).

The Doors è un film realizzato prima dell’avvento del digitale, con un enorme numero di comparse. A conti fatti si tratta di una rievocazione collettiva, una sorta di psicodramma. La proliferazione di maschere diventa una conseguenza inevitabile, ma riprodurre lo spettacolo ha un indubbio vantaggio: permette di rinnovare il proposito di sconfiggere un’archetipica coazione a ripetere. Lo spettatore, d’altronde, è avvertito sin dall’inizio: ‘il programma di stasera è un ripasso, l’avete visto e rivisto passo per passo’.

SCHEDA TECNICA
The Doors (Id., USA, 1991) – REGIA: Oliver Stone. SCENEGGIATURA: Randall Jahnson, Oliver Stone. FOTOGRAFIA: Robert Richardson. MONTAGGIO: David Brenner, Joe Hutshing. MUSICHE: The Doors. CAST: Val Kilmer, Meg Ryan, Kyle MacLachlan, Frank Whaley, Kevin Dillon. GENERE: Biografico. DURATA: 140′

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