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Lo sguardo critico di Federica Marcucci sul biopic di Angela Bassett dedicato a Whitney Houston
We always love you Whitney, ma non questa volta…
Incredibilmente la voce straordinaria di Whitney Houston è rimasta legata a una cover, composta tanti anni prima dalla regina del country Dolly Parton. Ma dopo Guardia del corpo (disco di diamante negli Stati Uniti con oltre 42 milioni di copie vendute in tutto il mondo), I Will Always Love You (con i suoi 12 milioni di copie vendute) è diventata la canzone di Whitney… un dettaglio importante per comprendere la complessità d’animo della cantante pop. Quasi una metafora per colei che ha vissuto una vita non propriamente sua, trascinata dal successo e dalla potenza della sua voce, ma anche da quella innata fragilità che spesso accomuna gli artisti. C’era tanto da raccontare per questa vita, intrecciata tra melodie mal accordate, così garbata, ma allo stesso così estrema: tanta umanità e soprattutto tanta musica. Per questo, Whitney, il film di Angela Bassett ci sembra un’occasione sprecata. Un’operazione frettolosa, troppo, che non ha permesso alla memoria della Houston di sedimentarsi. Anche per colpa, se così si può dire, del forzato target televisivo e di quegli 88 minuti in cui la vicenda non riesce mai a decollare davvero.
Whitney è un film lezioso, pretende di essere un film sulla musica (o almeno, su gente che fa musica) ma incredibilmente è proprio questa a ricoprire un ruolo di contorno, a essere utilizzata come un vago riempitivo. La vicenda è quella che vide come protagonisti la Houston e Bobby Brown, il promettente cantante R&B che poi diventò suo marito, interpretati rispettivamente da Yaya DaCosta e Arlen Escarpeta. Eppure tutto sembra un pretesto per raccontare l’ennesima storia di passione dai dialoghi prevedibili e che, vagamente, ricorda il meccanismo dello show business in stile È nata una stella. Peccato perché l’attrice protagonista offre una performance sentita, ma non basta una certa somiglianza fisica e una voce che ricorda quella della Houston a fare del lavoro della Bassett un buon film.
Criticato per ovvi motivi dalla famiglia della cantante (tratteggiata perennemente sul baratro e in bilico tra le droghe e le sue insicurezze), secondo noi la grande mancanza di Whitney è di essere superficiale, di essere rimasto allo stesso livello di quelle prime pagine dei rotocalchi sui quali spesso la cantante veniva criticata. E ci dispiace perché la Houston e la sua storia meritavano di essere approfondite con quello spirito contraddittorio di forza e grazia tipico della cantante, su una colonna sonora avvolgente come la sua voce. La musica del film invece non ci racconta quasi niente di chi era quella donna prima che diventasse Whitney Houston, né di chi fosse in realtà Whitney Houston… o almeno lo dà per scontato. Così ci si deve accontentare del solito cliché, I Will Always Love You nell’ultima sequenza: come se in un film su Frank Sinatra si facesse ascoltare soltanto My Way.
SCHEDA TECNICA
Whitney (Id., USA, 2015) – REGIA: Angela Bassett. FOTOGRAFIA: Anastas N. Michos. MONTAGGIO: Richard Comeau. MUSICHE: RedOne, Wuff, Dan Sundquist, Travon Potts. CAST: Yaya DaCosta, Arlen Escarpeta, Yolonda Ross, Suzzanne Douglas. GENERE: Biografico. DURATA: 88′. Trasmesso da SKY Cinema1 il 14 febbraio 2016.
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