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Remember me, though I have to say goodbye
“Nessuno è separato da nessuno. Nessuno lotta per se stesso. Tutto è uno. L’angoscia e il dolore, il piacere e la morte non sono nient’altro che un processo per esistere.” (Frida Kahlo)
Era il 1942 quando con Bambi la Disney, ormai al suo quinto lungometraggio, ricercava delle forme espressive più adulte, mettendo in scena una narrazione in cui l’idea di vita e morte si intrecciano in modo inquietante quanto profondo. Una sensibilità che, molto più tardi e affondando le sue radici in un’altra cultura, sarebbe diventata una prerogativa del giapponese Hayao Miyazaki, non a caso grande amante della storia del cerbiatto dalla coda bianca.
Quasi 80 anni dopo, la Disney vanta un dominio sull’industria dell’entertainment mai visto prima. Un fenomeno straordinariamente interessante e tutto da studiare ma che, tuttavia, vogliamo mettere da parte per risalire alla vocazione originaria dello studio, l’animazione, e indagarne l’identità in questo presente.
In questo senso vogliamo leggere Coco, ultimo film prodotto dalla Disney Pixar, partendo dal dualismo basilare individuato da Gianni Rondolino: cinema dal vero e cinema d’animazione, laddove quest’ultimo si contraddistingue per quella serie di elementi caratterizzati dal fantastico e dal meraviglioso. Se la prerogativa primaria del cinema d’animazione è quella di generare stupore, raccontando storie fantastiche ma perfettamente trasferibili sul piano reale, si notano sempre più spesso delle carenze dal punto di vista narrativo da parte dei prodotti targati Disney. Qualcosa che fa venir meno l’idea che il cinema d’animazione, anche commerciale, possa essersi sdoganato dall’identificazione con cinema dell’infanzia. Basti pensare al buco nell’acqua rappresentato dal corto in apertura a Coco, Frozen: Le avventure di Olaf. Fatta eccezione per Oceania (2016), lungometraggio che testimonia un cambio di rotta del comparto animazione Disney, sembra che la produzione originale della major sia più che altro affidata alla Pixar: studio gemello fondato da John Lasseter, acquisito ormai diversi anni orsono. Coco nasce da questa divisione, dopo un lungo lavoro di sei anni da parte del regista Lee Unkrich (Toy Story 3) e del suo team.
Poetico e denso di contenuti simbolici, Coco è un film d’animazione che si pone come prodotto all’avanguardia sia dal punto di vista tecnico che da quello narrativo, presentandosi come una commistione perfetta tra l’identità Disney originaria e quella Pixar, ormai una sorta di divisione custode dell’animazione di alto livello.
Per la prima volta infatti, un film Disney Pixar presenta un apparato musicale complesso (qualcosa che è sempre stata appannaggio dei grandi musical d’animazione, basti pensare a La Bella e la Bestia o La Sirenetta, ma anche al recente Frozen), che prende corpo grazie all’intreccio narrativo e all’ambientazione messicana. I colori, le sonorità e la rappresentazione del culto dei defunti (il Dia de los muertos), tipici del Messico, sono il punto di partenza di una storia che riflette sulla necessità del ricordo, della memoria ma anche sull’inevitabilità della morte. Qualcosa che troppo spesso non è privo di dolore ma che, nonostante tutto, fa parte della vita stessa. A prescindere dall’età dello spettatore, Coco suggerisce l’idea del ricordo come strumento della memoria attraverso la metafora della musica, nel film vero e proprio veicolo di un sentimento universale ma allo stesso tempo tipico del folkore messicano. Non a caso è proprio il leitmotiv del film, Ricordami (Remember Me), a farsi custode di un segreto dimenticato, divenendo così anche la chiave di volta della narrazione stessa.
Il Messico di Coco mette inoltre da parte qualsiasi tipo di rappresentazione caricaturale hollywoodiana (basti ricordare la sequenza di It Happened in Monterey nel musical King of Jazz), dando vita a un’ambientazione affascinante ma dall’atmosfera universale, profondamente rispettosa della cultura autoctona: dall’omaggio a Frida Kahlo al ritratto di Ernesto De La Cruz (personaggio in parte ispirato al celebre attore e musicista Pedro Infante), senza dimenticare l’emozionante sequenza del film in cui possiamo ascoltare la tradizionale canzone popolare messicana La Llorona. Suspense e divertimento, per un pezzo in grado di comunicare lo spirito stesso di Coco.
Morte e perdita, passione e perdono. Vita e memoria.
SCHEDA TECNICA
Coco (Id.; USA, 2017) – REGIA: Lee Unkrich. SCENEGGIATURA: Adrian Molina, Matthew Aldrich. FOTOGRAFIA: Matt Aspbury, Danielle Feinberg. MONTAGGIO: Steve Bloom, Lee Unkrich. MUSICHE: Michael Giacchino. CAST: Anthony Gonzalez, Gael García Bernal, Benjamin Bratt, Alanna Ubach. GENERE: Animazione. DURATA: 109′
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