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Quando la musica “veste” il film
“Si può cucire qualsiasi cosa dentro un tessuto. Segreti, monete, parole, brevi messaggi”. (Reynolds Woodcock)
Dove conduce il “filo nascosto” della colonna sonora? Come una sorta di “filo di Arianna”, la musica prende delicatamente lo spettatore per mano, accompagnandolo nel cuore dei personaggi, lasciando immaginare la loro vita, svelando in gran segreto la loro vera essenza. La colonna sonora, scritta dal chitarrista dei Radiohead Jonny Greenwood – composer in residence presso l’Orchestra della BBC – sembrano adattarsi ai personaggi del film nello stesso modo naturale, raffinato e inquieto nel quale gli abiti dello stilista Reynolds Woodcock si adattano ai corpi e alle personalità di chi li indossa.
L’unione di musica e immagini trova nel film di Paul Thomas Anderson un’espressione perfetta e profonda, capace di amplificarne la portata comunicativa, influenzandosi vicendevolmente, tanto che una sembra sconfinare nell’altra nel comunicarci la poetica della vicenda, contribuendo a tesserne la trama e l’ordito. È inevitabile dunque immaginarsi la musica di Jonny Greenwood come una sorta di sottile filo nascosto, invisibile agli occhi ma cucito all’interno dei personaggi, proprio come Reynolds Woodcock cuce il nome del destinatario del vestito all’interno dell’abito, racchiudendone un frammento d’anima. Così la musica racconta i desideri, i ricordi, la personalità dello stilista Woodcock, della sua musa e amante (il participio presente è d’obbligo, inteso come colei che ama a suo modo il suo Reynolds) e arriva ad esaltarne il legame sia fisico che spirituale, descrivendo al tempo stesso il mondo nel quale sono immersi.
La quarta collaborazione tra Greenwood e Anderson rispecchia a pieno la particolare intesa e affinità tra il compositore e il regista, non solo in termini di qualità ma anche di spazio destinato alla musica all’interno del film stesso. Un chiaro segno di come la colonna sonora non abbia qui il solo compito di accompagnarsi e accompagnare l’immagine: sembra diventare, al pari dei personaggi un elemento astrattamente fisico, impalpabile ma reale come un filo, un colore.
Il carattere dei brani di natura orchestrale e le melodie spesso affidate ad archi e pianoforte, esprimono a pieno la versatile creatività e il virtuosismo del loro compositore, la sua formazione e le sue preferenze musicali che indubbiamente ne hanno influenzato lo stile compositivo. Il pubblico si trova così coinvolto e trasportato nel mondo di una Londra anni Cinquanta – espresso nei suoi aspetti innovativi grazie all’attenzione per il jazz degli anni Cinquanta, con un pianismo che associa il lirismo delle melodie di Bill Evans al tecnico virtuosismo alla Oscar Peterson nel descrivere i moti d’animo dei personaggi – e la volontà di mantenere quelli più classicheggianti, eleggendoli a simbolo di moda, raffinatezza, come testimoniano le chiare influenze dei Corali Bachiani (per quanto riguarda la perfezione formale), le armonie “aperte” e sospese alla Debussy e il tocco a tratti delicato del pianoforte romantico.
La colonna sonora è viva, comunica con lo spettatore “da cuore a cuore”, trasmette passione allo stato puro, che sia per un vestito o per la propria anima gemella, e con ancora più forza quando parla di entrambi. Al centro della musica di Greenwood c’è l’anima di Reynolds e di Alma, e rapiti dall’atmosfera del film scopriamo che, tra una frase di pianoforte e un vibrato di archi, c’è anche un po’ di spazio per l’anima dello spettatore, anche di quello meno attento.
La particolare attenzione con la quale Jonny Greenwood sembra abbracciare e illuminare il mondo dei personaggi, gli ha fatto ben meritare la nomination per l’Oscar 2018 come Migliore Colonna Sonora, vinta però dal film La forma dell’acqua di Guillermo del Toro.
Uno dei brani di maggiore interesse, e vero leitmotiv della pellicola, è House of Woodcock, che pare riassumere nella sua interezza l’intento compositivo di Greenwood. Le influenze di Bach, Vivaldi, Messiaen e Penderecki si fanno quindi ancora più evidenti e si mescolano tra loro pur mantenendo riconoscibili i loro tratti. Il lirismo espressivo degli archi e la pienezza timbrica del loro insieme, unito alle armonie di un pianismo che ricorda la perfezione formale di Bach e allo stesso tempo rimanda all’universo sonoro di Debussy (con armonie ordinate e ariose, che dilatano spazi interiori e pensieri) e alla delicatezza timbrica del pianismo romantico di Chopin. Con House of Woodcock, Greenwood non solo fa entrare lo spettatore nella casa del protagonista, ma quasi inconsapevolmente ne mostra il lato più nascosto, lasciando intravedere il profondo amore – sia spirituale che fisico – per Alma: è una musica che conferisce respiro all’intero film, reso dal pianoforte con armonie e melodie esatonali che trasportano lo spettatore in un altrove sospeso, incantato. Gli archi sottolineano il mondo incantato e allo stesso tempo tormentato di Woodcock, conferendogli profondità, per certi versi calore, abbracciandolo e ponendosi come collegamento tra lo stilista e il pubblico. Come Debussy era solito “dipingere” cangianti immagini musicali sempre in movimento, è quindi facile immaginare House of Woodcock come un abito di seta appena confezionato, che scorre tra le mani di un Reynolds mentre ne ammira l’armonia, la leggerezza, la luce e la pienezza delle forme. Il pianoforte, per sua stessa natura, sembra esprimere musicalmente la personalità di Reynolds: con tocco romantico, che a tratti ricorda il suono di Chopin, sottolinea la sua “strana inquietudine, come un battito d’ali”. Ne accompagna le azioni, dando voce ai suoi taciti pensieri.
Il filo nascosto è presente nelle le corde degli strumenti che danno voce agli infiniti cromatismi e sfumature della personalità di Woodcock, lasciando immaginare i suoi pensieri e introducendo il pubblico alla vicenda che di lì a poco inizierà a dipanarsi. Nel brano “Phantom Thread I”, l’inizio è segnato dagli archi nel registro più acuto, per esprimere la delicata e acuta tensione simbolo di creatività, e a tratti di mistero. Gli archi accompagnano anche il tema Alma, la protagonista che, amando a suo modo Reynolds ne stravolge la vita, ordinata e severamente votata all’arte, alle regole, alle abitudini immutabili che paradossalmente caratterizzano e favoriscono la geniale creatività dello stilista. In Sandalwood, invece gli archi sembrano descrivere la fragranza propria della pelle di Alma, e quindi la sua stessa essenza: fresca, decisa, intensa. Un uso diverso degli archi si ha in Barbara Rose: il loro fraseggio a tratti malinconico e impetuoso esprime e sottolinea la natura della ricca donna, personaggio a metà tra la tragedia (personale, di una nobildonna moralmente decaduta e preda dei vizi) e una velata comicità.
In questa colonna sonora, che sembra abbracciare musicalmente ogni snodo della vicenda, la musica non possiede solo valore simbolico: è il mondo stesso dei personaggi; è un filo di passione, amore ed emozioni che, cambiando riflesso ogni volta, ci canta il colore delle anime di Reynolds e Alma legandole tra loro ancora più profondamente, e legando le loro anime a quelle di chi ascolterà questo film.