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Ascoltare Cuba
Nel 1996 il chitarrista Ry Cooder, Nick Gold della World Circuit Records e Juan de Marcos Gonzalez, in veste di direttore musicale, riuniscono alcuni veterani della musica cubana, invitandoli a registrare un album, che si rivela un clamoroso successo internazionale. La lineup viene battezzata Buena Vista Social Club, dal nome del locale dell’Avana in cui i musicisti si esibivano prima della rivoluzione. Era un club per soli afro-cubani, fiorito negli anni della dittatura di Batista, periodo in cui esistevano luoghi di associazionismo strettamente collegati alle diverse etnie. Già, era, perché in seguito, con l’arrivo di Castro, il Buena Vista venne chiuso, così come altri club simili, in quanto ritenuto un luogo di decadenza accusato non solo di assecondare una politica di segregazione, ma anche di diffondere un tipo di musica poco consona ai dettami socialisti. Così, decenni dopo, una schiera di talentuosi musicisti ormai in età avanzata, tra i quali Compay Segundo, Rubén González e Ibrahim Ferrer, poi divenuti vere e proprie star, fanno rivivere il son e la musica da ballo di quegli anni.
Dopo la realizzazione dell’album, intitolato a sua volta Buena Vista Social Club, Ry Cooder coinvolge anche Wim Wenders nella riscoperta della musica cubana. Un nuovo progetto insieme, dopo le colonne sonore per Paris, Texas e Crimini invisibili, questa volta, però, di segno inverso: è il cinema a mettersi al servizio della musica, anche se in fondo Wenders si era già trovato a riverstire un ruolo di promotore musicale, quando nel 1994, con Lisbon Story, aveva fatto conoscere al mondo la musica dei Madredeus.
In Buena Vista Social Club, Wenders combina interviste ai musicisti con riprese delle sessioni di registrazione e dei concerti, facendosi testimone di storie di povertà, di passione per la musica, e di canzoni che armonicamente sono certo riconducibili alla tradizione spagnola, ma che posseggono caratteristiche ritmiche e timbriche talmente marcate, da saldarsi, nell’immaginario, a storie d’amore tra effluvi di rum e odore di sigari. Oltre al particolare timbro vocale, è la presenza e la varietà delle percussioni a risultare decisiva, così come la costituzione dell’organico, in cui chitarra, tromba, contrabbasso o pianoforte convivono con strumenti tipicamente cubani, quali il timballo o il laud.
Commozione, nostalgia e un interesse quasi archeologico per una Cuba che non c’è più, ma della quale sopravvivono la musica e i suoi protagonisti, segnati dal tempo come le Cadillac ai lati delle strade. Pur essendo un documentario, il film di Wenders sottintende un’incredibile trama da romanzo – o meglio, quasi da backstage musical con annesso sogno americano – : alcuni fortunati musicisti dalla sorte segnata fanno l’incontro giusto, arrivano al successo e persino al palcoscenico della Carnegie Hall. Un successo così eccezionale, verrebbe da aggiungere, che negli anni ha trasformato il nome stesso Buena Vista Social Club in una sorta di brand, capace di sopravvivere persino alla morte di diversi membri della formazione originale.
Tuttavia, sfruttamento commerciale a parte, il documentario di Wenders vanta alcune canzoni indimenticabili, tra le quali Candela, Dos gardenias e Chan Chan, quest’ultima divenuta così celebre da aver rimpiazzato Guantanamera quale brano di punta delle band negli hotel cubani per turisti.
SCHEDA TECNICA
Buena Vista Social Club (Id., Germania, 1998) – REGIA: Wim Wenders. SCENEGGIATURA: Wim Wenders, Nick Gold. FOTOGRAFIA: Jörg Widmer. MONTAGGIO: Brian Johnson. MUSICHE: Buena Vista Social Club. CAST: Compay Segundo, Eliades Ochoa, Ry Cooder, Joachim Cooder. GENERE: Documentario. DURATA: 105′
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