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Glorifichiamo la Regina
Peter Morgan è uno degli sceneggiatori a mio parere più dotati che esistano nel mondo anglosassone al momento. Probabilmente è stato scelto per il soggetto di questo film giacché principalmente famoso per The Queen, la storia della copertura mediatica della morte di Lady Diana. Forse valeva la pena farlo lavorare anche alla sceneggiatura, che è il vero problema di Bohemian Rhapsody. Mi viene da pensare che tutte le banalità sulla nascita del Mito che ho visto siano dovute a ingerenze di produzione, e lo penso ricordando quel che disse Sacha Baron Cohen quando, ben otto anni fa, fu licenziato per il ruolo di Freddie: “Brian May è un grande musicista ma come produttore di film non ci sa fare”. Baron Cohen avrebbe voluto più “storie selvagge” e meno Leggenda. Ed è proprio questo il problema del film: in parole povere, è una beatificazione, un santino, con tutti i crismi stilistici del santino, arrivando perfino a modificare la vera storia per forzare gli aspetti tipici della biopic glorificante.
Un esempio: Freddie non fu assunto da May e Taylor all’impronta dopo aver cantato due note in mezzo alla strada e senza aver fatto mai niente prima. Fu invece presentato al batterista e al chitarrista proprio dal cantante precedente e aveva all’epoca un’altra band, gli Ibex. Mary Austin, la donna angelicata che non può avere altri uomini se non Freddie e il proprio marito, in realtà usciva con May inizialmente: non fu colpo di fulmine. I Queen non si sono mai sciolti, non hanno mai litigato, Freddie non ha mai avuto quel momento di hybris che ogni biopic deve mettere in scena per contratto, in cui l’eroe tradisce gli amici-quasi-fraterni perché una casa discografica lo riempie d’oro. Un disco solista in effetti c’è stato, ma gli altri lo sapevano, è capitato in un periodo di pausa. E poi la maniera banale di rappresentare gli affetti: il contrasto col padre, messo in scena in maniera tanto topica da non far mai scivolare la narrazione in situazioni à la Kureishi (seppure il giovane Freddie ogni tanto sembri Karim del Buddah delle periferie). O la povera Mary, lasciata mentre guarda lo stadio cantare in coro la canzone per lei, Love of my life. E Jim Hutton non era un casto cameriere assunto per un festino, ma un parrucchiere conosciuto in un night (capisco che ciò contrasti con la figura costruita dell’amante paterno).
Ma parliamo anche del personaggio di Mike Myres, il grezzo Ray Foster che si rifiuta di far uscire Bohemian Rhapsody (“Bismillah bullshit”): altro topos inevitabile in una biopic su una band – poco importa se il personaggio sia o meno esistito. Ma il topos peggiore di tutti è la malattia anticipata di qualche anno per far redimere Freddie agli occhi degli amici ed enfatizzare la presenza dei Queen al Live Aid (con un Bob Geldof che sembra la caricatura dell’irlandese medio). L’intera esibizione dei Queen (è presente su Youtube) è ricostruita molto bene, ma non c’è nessun significato recondito suggerito dal film quando Freddie canta: “Devo lasciarvi tutti e fronteggiare la verità” (“gotta leave you all behind and face the truth”) dato che all’epoca lo sfortunato cantante nulla sapeva di quello che sarebbe stato il suo destino. Per inciso, i Queen non erano quel gruppo semi-emergente o semi-dimenticato che appare durante il Live Aid nel film, anzi erano all’epoca sulla cresta dell’onda: qua invece sembra quasi che facciano l’evento più per stare con i nomi in cartellone che altro (salvo poi, durante l’esibizione, far andare in tilt il centralino: evidentemente Mercury aveva il dono di far donare soldi all’Africa mentre cantava).
Leggo fra i produttori, oltre il nome di Singer, di Graham King, dei due Queen e di Robert De Niro (avete capito bene) anche Jim “Miami” Beach, il manager dei Queen, quello che nel film incarna l’ennesima figura paterna. Tre produttori su sei erano nella Leggenda e sono dunque leggendari. Ai Queen chiaramente il risultato è piaciuto (non so se qualcuno è andato a scovare il povero John Deacon nel suo triste ritiro a Putney, ma gli altri sono entusiasti – avendo pagato e supervisionato ogni cosa). Mary Austin non ha detto molto, si è limitata ad approvare. Kashmira Cooke, la sorella di Freddie, vedendo Malek tutto conciato da La Leggenda di suo fratello si è messa a ridere (poi gli ha mandato una mail toccante, dice lui). Mi verrebbe da dire che non si può accontentare tutti e fare anche un buon prodotto. E che un pezzo da novanta con alle spalle film biografici di un certo spessore andrebbe tenuto fino in fondo al lavoro.