Decenni di esperienza sulla scena della musica indipendente internazionale non sono facili da raccontare. L’ambizione di Maria Arena però è alta e nel suo documentario intitolato Uzeda – Do It Yourself la regista catanese riesce a far confluire, oltre alla storia ultratrentennale della band siciliana, anche varie riflessioni su cosa significhi essere indipendenti nell’ambiente musicale.
Seguendo il gruppo dal 2016 al 2019 (ma senza farsi mancare una grande quantità di materiale di repertorio video e fotografico), Arena ricostruisce un percorso artistico e (inter)personale che a partire dall’infanzia dei singoli componenti (la frontwoman Giovanna Cacciola, Davide Oliveri alla batteria, Raffaele Gulisano al basso, Agostino Tilotta alla chitarra e anche Giovanni Nicosia, il chitarrista che ha lasciato il gruppo nel 1995 e a cui si deve il nome del gruppo, in onore al viceré che ricostruì il val di Noto dopo il terremoto del 1693) giunge al giorno d’oggi, esplorando non solo il percorso artistico e discografico della band ma anche temi importanti, come il senso di fare musica, l’indipendenza economica, la tenacia nel perseguire i propri obiettivi. Le testimonianze dei musicisti si alternano creando un ritmo gradevole di pluralità di voci che vede affiancarsi ai protagonisti varie guest star, come il loro primo produttore Massimo Rendo, il critico musicale Max Prestia o il cronista musicale Alberto Campo. Queste interviste offrono un duplice affaccio sul contesto storico/artistico in cui gli Uzeda sono stati attivi: se all’inizio essi non erano del tutto consapevoli di cosa significasse la parola indipendenti ma avevano capito che quello era chiaramente il modo migliore per fare arte, con il passare degli anni emerge una indipendenza intrinseca che va oltre il livello prettamente economico, perché il loro punto di riferimento è un certo tipo di musica USA anni ‘90 di cui gli Uzeda reinterpretano le sonorità a modo proprio, rielaborandone i modelli. Lo stesso uso della lingua inglese è stato un elemento che all’inizio veniva fortemente avversato dalla critica musicale italiana ma che gli Uzeda, in quest’ottica di rielaborazione degli stilemi americani, hanno saputo mettere al servizio delle proprie esigenze artistiche, ribaltando l’accusa di rifiutare i legami culturali con la loro terra proprio rivendicando l’importanza dei loro luoghi di nascita (“Qualunque cosa suoniamo è filtrato dalle nostre origini, da quel tessuto sociale”), importanza che le immagini dei paesaggi siciliani e dell’Etna ribadiscono con coerenza.
Per sviluppare la sua panoramica, Arena prende a pretesto la ricerca sull’arte indipendente tra cinema e musica che il musicologo Patrick Craven sta portando avanti per il suo dottorato all’UCLA (proprio a partire dagli Uzeda, per analizzare come si può fare musica fuori dai circuiti delle major dell’industria discografica): “Gli Uzeda rappresentano le virtù del punk e del rock indipendente meglio di qualsiasi gruppo musicale al mondo”, afferma Craven, perché “nell’ambiente della musica indipendente i soldi non sono la preoccupazione principale, mentre sacrosante sono le sincere relazioni umane”. Ciò che conta e ha sempre contato per il gruppo, infatti, non sono i ricavi economici derivanti dalle loro canzoni, bensì i rapporti interpersonali che hanno costruito in tutto il mondo attraverso la loro musica e che li hanno portati ad essere praticamente circondati da una estesa e diffusa famiglia di amici (musicisti e non). Molti di questi amici si prodigano nell’elogiare il gruppo in questo documentario, colti nella preparazione del concerto internazionale che gli Uzeda hanno tenuto nel 2018 per festeggiare i loro trent’anni di attività: se gli Shellac fanno notare come nell’ambito indipendente si possa avere una carriera più duratura rispetto all’industria tradizionale mainstream proprio a causa dei rapporti personali e delle solide amicizie costruite negli anni, Terrie Hessels degli Ex conferma che l’unico modo per fare musica davvero è essere indipendenti; Davide Iannitti degli Stash Raiders afferma che gli Uzeda sono diventati un esempio da seguire proprio per come vivere e fare la musica, mentre i componenti dei Black Heart Procession vedono negli Uzeda l’esempio di come si possa creare la propria scena musicale, aggiungendo che sebbene ora la musica indipendente sia considerata uno stile musicale, in realtà il concetto di “indipendente” significa “fare la cose da sé”, senza legarsi ad aziende discografiche.
Con queste riflessioni il cerchio di chiude anche a livello filmico perché il documentario si apriva con la citazione del grande produttore Steve Albini: “I’m only interested in working on records that legitimately reflect the band’s own perception of their music and existence”.
Non possiamo chiudere questa recensione senza però sottolineare lo spirito di indipendenza del documentario stesso, finanziato e sostenuto in parte proprio da una campagna di crowdfunding dal basso, per la quale a marzo 2023 era stato anche organizzato un concerto “di amici e di musicisti che negli anni hanno incontrato gli Uzeda in occasioni diverse, condividendo non solo il palco, ma anche un modo di vivere e di intendere la musica: Colapesce, Roy Paci, Lautari, Stash Raiders, The Cockroaches, Clustersun”.
Quando si dice: “Do It Yourself”.
SCHEDA TECNICA
UZEDA – DO IT YOURSELF (Italia, 2024) – REGIA: Maria Arena. MUSICA: UZEDA. CAST: Agostino Tilotta, Giovanni Nicosia, Raffaele Gulisano, Davide Oliveri, Giovanna Cacciola. GENERE: Documentario. DURATA: 102′.