Ricercatore di suoni
“Compositore, scrittore, creatore di cose”: così si presenta Matthew Herbert nel bel documentario di Enrique Sánchez Lansch che fin dal titolo sottolinea l’importanza del lavoro praticato dal famoso “ricercatore del suono”.
Quella operata da Herbert è (stata) infatti una vera e propria rivoluzione nell’ambito della composizione musicale, tanto da collocarsi oltre la codificata prassi compositiva e forse anche oltre la definizione stessa di “composizione”. Pur avendo alle spalle uno studio della musica classica e una formazione da pianista dall’età di quattro anni, Herbert, spinto da una progressiva insoddisfazione verso le limitazioni offerte dalla composizione canonica e da un crescente interesse verso le possibilità musicali della realtà, ha coraggiosamente compiuto un passaggio sostanziale nel panorama della ricerca sonora. Da una musica impressionista (il tentativo di riproduzione di un suono naturale tramite uno strumento, come l’uso del flauto, dell’oboe e del clarinetto a imitazione del canto degli uccelli che troviamo nella Sinfonia n. 6 di Beethoven) Herbert è arrivato a quella che potremmo definire “composizione fattuale”: invece di comporre un brano a proposito di qualcosa, lo compone con qualcosa. Campionando e poi rielaborando i suoni più disparati egli è in grado di costruire ciò che Sánchez Lansch ha intelligentemente definito “sinfonia di rumore”. Non si creda infatti che le composizioni di Herbert siano accostamenti di rumori senza senso: anche a causa del naturale istinto dell’uomo di cercare e di riproporre l’“evento” o l’“azione” persino in successioni apparentemente casuali di suoni, i suoi brani raccontano delle storie, seppur in modo atipico. Anzi, qualora l’ascoltatore rifletta sull’origine dei suoni selezionati, tale narrazione può risultare addirittura sconvolgente o comunque in grado di assumere in sé nuovi sensi e significati che vanno dall’ecologico al sociale, dall’etico al politico.
Nella cucina di uno storico ristorante della costa inglese meridionale specializzato in fish&chips, ad esempio, la ricostruzione sonora del processo che porta delle patate a trasformarsi in un’amatissima pietanza potrebbe raccontare semplicemente la storia di quel piatto attraverso l’assemblaggio dei suoni derivati dalla sbucciatura automatica, dal lavaggio, dal taglio, dalla frittura e dall’impiattamento delle patate. Ma se questa micro-storia viene elaborata e inserita in un progetto più ampio, abbinata alla registrazione di una nuotatrice che attraversa la Manica, essa può arrivare a raccontarci una storia d’amore tra due amanti separati dal mare. E se a tutto ciò si aggiunge un coro che canta un testo contro la Brexit il mare giunge a configurarsi come un elemento di distanza non soltanto naturale ma anche politica. Ecco allora che la nascita della Brexit Big Band mira a costituirsi come un’operazione artistica tout-court, che cerca di dare voce agli oppositori di un delirante processo politico ed economico.
Immaginiamo di ascoltare un colpo sordo, un gracchiante sfregamento, un rumore ripetitivo di bassa frequenza, intermittente ma irregolare. Se non fossimo consapevoli dell’origine di questi suoni ci limiteremmo probabilmente a subire passivamente il relativo montaggio sonoro di Herbert o magari a danzarlo se egli dovesse costruire con questo – accompagnandolo con strumenti elettronici e a percussione – una delle sue performance. Ma quando ci viene svelata la reale provenienza di questi suoni (il tonfo di una testa di maiale che viene appoggiata su un tavolo, il rumore di un coltello che sega le ossa dell’animale, il gocciolio del sangue che cade in un secchio) immediatamente la composizione assume un diverso significato e produce sensazioni decisamente differenti nell’ascoltatore: diventa “impossibile ascoltarla come semplice sinfonia musicale perché richiede nell’ascoltatore una diversa percezione, una consapevolezza politica e sociale”.
È infatti proprio l’ascoltatore il centro attorno al quale Herbert costruisce le sue creazioni: “la mia responsabilità come artista è cambiare o sfidare la percezione delle persone. Tutta la mia musica è sempre stata concentrata sulla prospettiva umana”. Certamente l’attenzione alla percezione è un nodo chiave della sua attività artistica, che guida ogni sua opera. Piazzare un microfono all’interno di un albero e registrare i rumori derivanti dal taglio del tronco mette l’ascoltatore implicitamente e concettualmente al posto dell’albero. Registrare la Decima Sinfonia di Mahler dall’interno di una bara attua un deciso sfasamento percettivo che ci porta a riflettere sull’ascolto secondo prospettive insolite. Ecco compiersi lo slittamento di senso caro all’artista.
A Symphony of Noise – Matthew Herbert’s Revolution restituisce magistralmente le idee alla base del percorso artistico di Herbert: il regista lo ha seguìto per dieci anni ed è riuscito a presentare organicamente un corpus artistico complesso trattando vari argomenti (dall’importanza del silenzio alla documentazione del modus operandi di Herbert nei concerti, fino alla scrittura del libro al quale il musicista si è dedicato negli ultimi anni), seguendo in ogni fase il processo creativo delle sue opere principali e raccogliendo significative dichiarazioni e riflessioni dell’artista stesso.
Come l’intera opera di Matthew Herbert, anche il documentario di Sánchez Lansch è dunque un caloroso invito ad ascoltare tutto ciò che ci circonda perché l’ascolto può portare a riflettere anche sul senso della vita.