La magia di un pianoforte
Un pianoforte a mezza coda alla stazione centrale di Tel Aviv; il suono della musica che si solleva dal rumore dell’andirivieni dei passeggeri. Alla base di Tuning, documentario di Ilan Yagoda, c’è quest’idea visiva e concettuale in grado di riscrivere una parte della nostra quotidianità.
Iconicamente d’impatto, l’immagine di un pianoforte in un (non) luogo pubblico come una stazione ferroviaria potrebbe per qualcuno risultare familiare: il visual artist britannico Luke Jerram iniziò a portare nel mondo la sua installazione Play Me, I’m Yours (“Suonami, sono tuo”) già nel 2008. Quest’opera era mossa dal desiderio di instaurare una forma di comunicazione all’interno di quelle “comunità invisibili” che si formano in luoghi come aeroporti, stazioni, piazze e persino lavanderie a gettoni, dove le persone (spesso le stesse persone) aspettano in silenzio. Jerram ha voluto allora inserire in questi ambienti un pianoforte come catalizzatore della comunicazione, per fare in modo che un silenzio non comunicativo si trasformasse in condivisione del tempo dell’attesa e magari anche di qualcos’altro. L’installazione ebbe un successo planetario e diversi pianoforti furono collocati in decine di città: da Tokyo a Barcellona, da Roma a Singapore, da Adelaide a New York. Naturalmente l’idea ha riscosso interesse globale sia dal punto di vista artistico sia da quello politico: è facile vedere nell’installazione un segnale dell’arte come strumento di unificazione e parificazione tra diverse etnie e classi sociali o leggervi la possibilità di esprimere il proprio talento per chi non è così abbiente da possedere un pianoforte. Nonostante le perplessità di qualcuno, il successo è stato notevole anche nell’ambito dell’audiovisivo, dove diversi video e documentari sono stati realizzati su quest’opera che si è trasformata in esperienza collettiva.
La particolarità del film di Ilan Yagoda, per la cui realizzazione sono stati necessari due anni di riprese, è che lascia parlare le immagini e la musica. Sebbene il pianoforte in questione non rechi la scritta Play Me, I’m Yours e non sia quindi direttamente riconducibile all’installazione di Jerram (il progetto in Israele è denominato Playing Music at the Station), l’assenza di una voice-over che racconti la genesi e l’evoluzione del progetto alla base di questa presenza insolita alla stazione di Tel Aviv potrebbe essere considerata un difetto o una mancanza. Tuttavia, con una scelta provocatoria e solo apparentemente penalizzante, Yagoda dimostra di essere un regista coraggioso e rispettoso della realtà che ha deciso di documentare: lascia che essa si riveli gradualmente allo spettatore, senza un intervento autoriale esterno che orienti la narrazione. Certo; anche se il film è costituito quasi interamente da inquadrature fisse non sempre possiamo fingere che i passanti non siano consapevoli delle macchine da presa, ma ad essere filmate sono comunque la realtà del luogo e le dinamiche interpersonali che si attivano e si sviluppano alla corte del pianoforte, vero sovrano della scena.
Ecco allora che con l’avvicendarsi dei passanti che rispondono al richiamo dello strumento sedendosi a suonare si costruisce una colonna sonora del tutto particolare che passa da Bach al jazz, da un canto tradizionale ebraico a un gospel (qualcuno canta, accompagnandosi al pianoforte, oppure accompagna un amico che si esibisce cantando), restituendo le sonorità del ricchissimo ed eterogeneo milieu culturale israeliano. Alla tastiera si alternano infatti soldati e civili, giovani e anziani, arabi ed ebrei, studenti e lavoratori, uomini e donne. Qualcuno si guarda intorno imbarazzato prima di trovare il coraggio di appoggiare le dita sui tasti, qualcun altro si avvicina gradualmente, quasi fingendo di cercare una scusa per sedersi allo strumento; c’è chi acconsente alla richiesta di un collega (“Suonaci qualcosa!”) e c’è chi si immagina probabilmente di tenere un recital di piano solo nella sala da concerti più prestigiosa del mondo; troviamo chi si ferma semplicemente ad ascoltare e a complimentarsi con un esecutore e anche la signora che, timidamente, si avvicina al ragazzo che sta suonando per chiedergli: “Canto insieme a te, va bene?”. Ed ecco compiersi la magia: l’avvicinamento di due estranei, la comunicazione tra due mondi isolati che mai avrebbero avuto di che parlarsi. Una democratizzazione socio-culturale. Perché come si accorda un pianoforte si possono anche accordare le persone. Potere della musica, potere dell’Arte.
SCHEDA TECNICA
Tuning (Kivun, Hitkavnenut; Israele, 2020) – REGIA: Ilan Yagoda. SCENEGGIATURA: Ilan Yagoda. FOTOGRAFIA: Amnon Houry. MONTAGGIO: Oron Adar. Musica: AA. VV. GENERE: Documentario. DURATA: 53’.