Beppe Carletti e Augusto Daolio (attraverso una delle ultime interviste) ci raccontano cosa sono e cosa sono stati i Nomadi nel contesto italiano e in quel lembo di terra tra Reggio Emilia e Modena che ha sfornato altri grandi nomi come Ligabue, Cico e i Modena City Ramblers e Francesco Guccini. Tutti nomi presenti nel documentario, tutti intervistati dalla regista, Fedora Sasso (assieme ad altre pietre miliari come Caterina Caselli) per tracciare il ritratto di un’epoca e definire il futuro della band più longeva dopo i Rolling Stones.
Molte band o esperienze musicali nascono da un’amicizia, da un incontro perfetto avvenuto in un certo luogo. Pensiamo a Lennon e McCartney alla sagra di paese attorno alla chiesa di Woolton, sobborgo di Liverpool, nel luglio ’57. Pensiamo alla Foce di Genova, quartiere dove probabilmente personaggi come Paoli, Lauzi o Tenco non avrebbero avuto la sorte che conosciamo se non fossero stati amici dei fratelli Reverberi. Ecco, stavolta il luogo è Novellara, cittadina della bassa famosa per gli allevamenti e per i Nomadi che nascono proprio da uno di questi incontri magici: il creativo Augusto incontra il pragmatico Beppe. Sono all’opposto, sono complementari. L’uno è necessario all’altro per l’avventura che stanno per intraprendere, rappresentata nel film da due attori (Andrea Avanzi e Marco Santachiara) che, sempre di spalle, incarnano questa iconica amicizia. Beppe e Augusto affrontano balere, si fanno le ossa suonando e cantando: quando si incontrano, del resto, non sono che adolescenti. Ed è in questo humus culturale – e attraverso l’incontro con Francesco Guccini, ancora amico di Carletti con cui si diverte a parlare in dialetto – che nasce la personalità artistica dei Nomadi: il taglio contestatario di brani come Dio è morto, i concerti perpetui che rendono tautologico il nome del gruppo, la storia di Io Vagabondo, brano con testo di Alberto Salerno e oggi simbolo della band che però, a quanto pare, ha avuto un periodo di calo di popolarità ed è stato “resuscitato” da Rosario Fiorello attorno ai primi anni Duemila. Lo showman siciliano, intervistato, la considera un po’ la sua sigla personale.
Poi, la morte di Augusto e il periodo nero, a seguire, di Beppe. Ce lo raccontano anche i suoi figli (Davide ed Elena – quest’ultima è l’attuale sindaco di Novellara): perdere Augusto è stato per il tastierista come perdere un fratello. Beppe però si rialza e, con la concretezza che lo contraddistingue, tiene la barra a dritta e traghetta i Nomadi nel nuovo millennio facendone la band più longeva dopo i Rolling Stones (“Aspettiamo che i Rolling Stones si sciolgano” scherza con il Presidente Mattarella che lo riceve al Quirinale nel luglio 2023). I tre cantanti dopo Augusto (Danilo Sacco, Cristian Turato, Yuri Cilloni) non saranno però mai soli al microfono e Carletti lo dice: “Augusto è ancora i Nomadi”. Quando in concerto viene mostrata la foto del frontman, il pubblico impazzisce.
La voce di Augusto. È forse questa la cosa più toccante del documentario: Beppe è presente (durante la proiezione al Biografilm, anche in sala) ma è presente anche Augusto. È presente la parte di Augusto che ha fatto storia: la voce. Stavolta però non sono le canzoni, ma un’intervista per la Rai – registrata nel 1989 per la trasmissione Lo specchio del cielo e recuperata da Fedora Sacco – a dare l’illusione che il cantante non se ne sia veramente mai andato. Ed è una lunga intervista nella quale Daolio, morto per cancro ai polmoni nel 1992, racconta della band, di Novellara, delle proprie idee, della contestazione e di Beppe. Un controcanto toccante da un’altra dimensione.