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In onda il 7 luglio su Paramount Channel, ore 00:00
Uno Spazio musicale, verso l’infinito
“Quel che è grande nell’uomo è che egli è un ponte e non una meta: quel che si può amare nell’uomo è che egli è transizione e tramonto.” L’eco delle parole nietzschiane con le quali Zarathustra annuncia la morte di Dio, giunge tuonante fino a 2001: Odissea nello spazio; in questa sede il pensiero del Superuomo viene in parte tradotto dal regista Stanley Kubrick attraverso la musica.
Se Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba si concludeva con l’effetto straniante della celebre sequenza dei funghi atomici sulle note della popular song di Vera Lynn We’ll Meet Again, è con 2001: Odissea nello spazio che avviene da parte del regista la scoperta della musica classica come medium estremamente duttile, forgiabile e ricontestualizzabile, che “tenta di comunicare più all’inconscio e ai sentimenti, piuttosto che all’intelletto”, per riprendere le parole dello stesso Kubrick. Una funzione questa che si scopre predominante in un film come 2001, in cui dialoghi minimalisti (in più di due ore le sequenze parlate sono solo quaranta minuti) sono affiancati da suggestioni visive e sonore tanto potenti.
Impressioni che, attraverso i comodi e affascinanti abiti del genere fantascientifico, si propongono in realtà di esplorare e, in un certo senso, di riscrivere la Storia dell’Uomo nel tentativo di trovare risposta ai quesiti esistenziali fondamentali: Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?
L’affermazione della superiorità della specie – e in primis dell’individuo -, abbraccia un destino d’eterna rinascita, quel ritorno dell’uguale nietzschiano, individuato da Kubrick in quattro momenti fondamentali della Storia dell’Uomo, che attraverso la musica è così scandito da un profondo senso di sgomento e di una visione della bellezza assoluta, fino alla totale perdita del senso d’identità. Sentimento questo che è espresso grazie alle sonorità del Requiem di György Ligeti, composizione sinfonica contaminata con sonorità elettroniche, che diventa una sorta leitmotiv del monolite nero, le cui apparizioni sono sempre sinonimo di rottura.
Tutto il film è un passaggio, in questo senso il superamento del senso d’angoscia avviene attraverso le due composizioni più celebri utilizzate 2001, che vanno quindi a caricare d’enfasi sequenze di transizione che preannunciano un’evoluzione, o comunque una rinascita dall’eco nietzschiano (Also sprach Zarathustra di Richard Strauss), fino al compimento del ciclico eterno ritorno a cui è destinata l’umana specie, attraverso una visione elegantemente tragica ma commovente nella sua bellezza (Sul bel Danubio blu di Johann Strauss).
Dal volo dell’osso, alla danza del Discovery, fino alla nascita dello star child, le note de Sul bel Danubio blu diventano un valore aggiunto estetizzante, dall’origine acusmatica: una sorta di colonna sonora dello spazio infinito. Soltanto all’interno della navicella PanAm sorge il dubbio che la stessa musica possa essere diventata improvvisamente diegetica, risvegliando nuovamente un senso di straniamento misto a profonda ironia. Un sentimento che si rinnova ancora nella sequenza conclusiva di 2001, nel momento in cui persino il sentimento del Superuomo di Zarathustra si arrende alla determinazione di un senso, prendendo coscienza dell’eterno ritorno dell’uguale.
L’articolo è apparso anche su Cinefilia Ritrovata
SCHEDA TECNICA
2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey, USA-Inghilterra, 1968) – REGIA: Stanley Kubrick. SCENEGGIATURA: Stanley Kubrick, Arthur Clarke. FOTOGRAFIA: John Alcott, Geoffrey Unsworth. MONTAGGIO: Ray Lovejoy. MUSICHE: Richard Strauss, Johann Strauss, György Ligeti. CAST: Keir Dullea, Gary Lockwood, William Sylvester, Daniel Richter. GENERE: Fantascienza. DURATA: 149’
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