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Continua lo speciale dedicato a David Bowie con la recensione di Basquiat di Julian Schnabel a cura di Francesco Brunetti
Un artista maledetto nella New York anni ’80
Tra gli artisti americani di talento della seconda metà del Novecento cosiddetti “maledetti” sicuramente Basquiat occupa un posto del tutto rilevante nella scena culturale americana degli anni ’80.
Il film di Julian Schnabel, premiato alla 68° National Board of Review Awards del 1996, è uno dei pochi film sulla vita dell’artista e un documento dettagliato che, evitando di seguire un percorso cronologico dalle origini, indaga in gran parte l’evoluzione artistica di Basquiat nel suo ultimo periodo.
La vita tormentata del protagonista è descritta con esattezza, così come il suo processo creativo, dalle prime esposizioni al determinante incontro con Andy Warhol, che sarà per lui una fonte preziosa per la sua arte e con il quale stringerà una grande amicizia.
Il ritmo sostenuto del racconto segue, a tratti con precisione e sensibilità, il mondo di Basquiat, soffermandosi sui suoi gesti e sul suo carattere, fornendo così un ritratto sincero e privilegiando una lettura psicologica più che un excursus biografico lineare, pur senza tralasciare alcuni eventi salienti della sua vita come la scoperta dell’arte durante l’infanzia.
Particolarmente interessante la scelta del repertorio musicale pop e indipendente del periodo, così come le citazioni filmiche e i video, che sembrano formare un breve compendio della controcultura degli anni ’80, essenziale per comprendere il contesto culturale in cui Basquiat visse.
Il cast stellare, formato tra gli altri da Christopher Walken, Dennis Hopper, Benicio Del Toro (premiato all’Indipendent Film Awards come migliore attore non protagonista), è coronato dalla presenza di David Bowie che interpreta magistralmente Andy Warhol, ripetendone movimenti ed espressioni originali, mettendo in pratica le sue celebri doti di mimo, arte in cui si era specializzato durante gli studi di recitazione svolti prima di intraprendere la carriera musicale.
Il celebre trasformismo dell’attore trova qui una delle sue manifestazioni più significative. Le due icone pop, immagini-simbolo del proprio tempo, vengono a fondersi in un’unica figura, summa e rielaborazione delle rispettive concezioni di arte e media, che si fa riflessione metaforica sull’apparire nell’epoca della riproducibilità tecnica, non solo nell’aspetto esteriore del soggetto, ma anche nel valore aggiunto che esso viene ad acquisire nella sua ripetitività fenomenologica.