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In onda lunedì 20 su RSI LA1, ore 00.35
La musica negata
Tratto da un romanzo autobiografico, la durissima opera di Polanski racconta con scarno realismo l’odissea di Władysław Szpilman, un pianista ebreo polacco sopravvissuto alle persecuzioni naziste.
Centrale, ne Il pianista, il ruolo della musica: per quanto il commento musicale sia circoscritto a poche scene, il suono del pianoforte rappresenta l’anelito alla salvezza, unico tentativo di opposizione all’annientamento dell’identità e della dignità.
Il cardine musicale della pellicola è rappresentato dalle composizioni di Chopin, il quale, è noto, si rifugiò in Francia in seguito al fallimento della Rivolta di Novembre: ma se il corpo riposa a Parigi, il cuore è invece simbolicamente conservato a Cracovia. Questo perché la sua musica si pone come canto dell’orgoglio nazionale, voce che si leva contro l’oppressione di una patria invasa. Impossibile non sottolineare che nel film questo aspetto contribuisce ad una stratificazione di significati: l’identità ebraica soffocata, la Polonia occupata, la musica negata. Doveroso, poi, aggiungere che lo stesso Polanski è un sopravvissuto.
La guerra interrompe la musica e finché sussiste un clima di pericolo Szpilman non riesce mai ad arrivare alla conclusione di un brano. All’inizio del film, l’esecuzione del Notturno per la radio è sospesa a causa dei bombardamenti, nel caffè del ghetto sorgono di volta in volta vari impedimenti, un’esplosione rischia persino di renderlo sordo. Il fatto di poter suonare le battute finali coincide con la salvezza: è soltanto alla presenza dell’ufficiale tedesco che il pianista può arrivare in fondo, portando a compimento la Ballata in sol minore (va da sé che la scelta di scorciarla è legata unicamente ad esigenze di regia). E la scena conclusiva, nella sala da concerto, è finalmente suggellata dall’unica cadenza maggiore del film.
Szpilman, costretto a vivere nel silenzio, che sogna di suonare un pianoforte nell’appartamento in cui si nasconde, o che ripassa mentalmente un brano. Si tratta di un motivo che ritorna spesso nei racconti dei prigionieri dei campi di concentramento e dei sopravvissuti all’Olocausto: richiamare alla memoria versi o musica è un modo per resistere. Persino quando gli eventi impongono comportamenti animaleschi, con l’unica preoccupazione di proteggersi dalla fame e dal freddo, il ricordo di opere d’ingegno permette di coltivare in segreto la propria umanità.
Vincitore della Palma d’oro a Cannes, Il pianista segna una tappa fondamentale nel cinema della memoria.