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Tutti quei suoni di un futuro passato
“Where we’re from, the birds sing a pretty song and there is always music in the air.”
Ossessioni si celano dietro drappi rossi e il passaggio a mondi altri è una scarica elettrica che riporta alla mente melodie perturbanti. Dopo poco più di due settimane dal finale della terza stagione di Twin Peaks un logico caos si attanaglia ancora tra mente e occhi di tutti coloro che necessitano di risposte certe alla domanda finale di Cooper – “Che anno è?”.
Nel frattempo David Lynch ha dichiarato che ogni interpretazione della sua nuova creatura non esclude l’altra, così come l’eventualità di una quarta stagione da scrivere insieme a Mark Frost. Ronzi nelle orecchie, sguardi inquietanti e un lacerante grido finale – quello di Laura/Carrie. Che cosa resta di questo ritorno a Twin Peaks?
Sono passati 25 anni da quando la voce distorta di Laura Palmer preannunciava a Cooper un nuovo incontro. Lo stesso a cui assistiamo in apertura a questa nuova stagione (Episodio 1) in una sequenza chiave, ripresa direttamente dalla seconda stagione, nella quale Lynch ribadisce ancora una volta l’importanza della musica e dalla componente sonora nel suo personalissimo universo seriale. Un momento a cui si aggiunge lo scricchiolio proveniente da un muto giradischi durante l’incontro tra Cooper e il Fireman (Episodio 1), e il fruscio del vestito di Laura Palmer nella Red Room (Episodio 2), la quale ribadisce all’agente, “Io sono morta tuttavia vivo”.
Suggestioni sonore che, messe a confronto con i toni nebbiosi e romantici della colonna sonora originale composta nel 1990 da Angelo Badalamenti, che nella sua ricercatezza presentava comunque una certa linearità, si modificano ampliandosi e arricchendosi di sfumature distorte. Suoni sintetizzati, richiami ai rumori di città industriali e alla pop music statunitense degli anni ’50 – da sempre tratti distintivi nella poetica di Lynch, contribuiscono a dare vita a un universo espanso che si allontana da Twin Peaks per poi tornarvi necessariamente e inesorabilmente.
Luogo terreno dalle coordinate precise e simboliche, Twin Peaks è tuttavia qualcosa che sfugge al comune senso di tempo e realtà: una sorta di microuniverso in cui bene e male, speranza e dannazione, sono destinati a camminare fianco a fianco in una dimensione di eterno ritorno sin dal momento della loro venuta al mondo (Episodio 8).
Una ciclicità ineluttabile in cui Lynch proietta incubi metropolitani e interiori dal pattern ricorrente, proprio come il pavimento della Black Lodge, e in cui l’elettricità è da sempre mezzo di passaggio privilegiato ad altri mondi. Dimensioni o sensazioni ignote indescrivibili, ma in grado di essere rappresentate grazie alla musica o alle componenti sonore: basti pensare alla “voce” di Philip Jeffries (Episodio 17).
Tuttavia le fascinazioni grottesche all’interno di Twin Peaks, nonostante la loro caratteristica straniante, assumono spesso connotati riconoscibili che possono essere ricondotti a elementi ricorrenti in tutto l’universo lynchiano, basti pensare a Lady in the Radiator in Eraserhead (1977). Tra questi il contrappunto dell’esplosione violenta à la Kubrick sulle note di Charmaine diretta da Mantovani, con un evidente richiamo a In Dreams di Roy Orbison in Velluto blu, nella sequenza in cui Richard deruba e aggredisce sua nonna Sylvia (Episodio 10). Per non dimenticare la dimensione onirica della sequenza d’amore tra Richard/Cooper e Linda/Diane in uno spazio-tempo completamente altro e alterato in cui le voci extradiegetiche dei The Platters intonano My Prayer (Episodio 18); un’alterazione che la cui eco arriva a coinvolgere altri livelli di realtà dal momento che il nome del chitarrista del gruppo era proprio David Lynch.
Rispondendo ai canoni di una serialità che, esattamente come 25 anni fa Lynch manipola e fa sua, la terza stagione di Twin Peaks è da considerarsi come un film lungo 18 ore all’interno del quale vige un ordine caotico che ne contraddistingue l’universo stesso e che si autoidentifica dando vita alla già citata ciclicità esemplificata perfettamente dalle sequenze a conclusione di episodio ambientate nel Roadhouse.
Qui, ancora una volta in bilico tra lo spazio-tempo della serie e quello degli spettatori, si alternano sul palcoscenico artisti come Eddie Vedder, Sharon Van Etten e i Nine Inch Nails, ma anche personaggi dell’universo lynchiano come James Hurley (James Marshall) in una reminiscenza di Just You. Lynch amplifica così i connotati simbolici del Roadhouse, già in parte attribuiti nelle prime due stagioni, facendo assumere ancor di più al fumoso locale la valenza di non-luogo: un crocevia obbligato di speranza e dannazione che accompagna per mano personaggi e spettatori fino all’episodio successivo.
La stessa condizione che si trova a vivere Audrey la quale, intrappolata in sconosciute stanze chiuse in un probabile stato di incoscienza, si sveglia dopo aver ballato – o sognato di ballare – nella sala del Roadhouse la sua “musica che fa sognare”, proprio come 25 anni prima (Episodio 16). Un sogno che raggiunge il suo apice in una dimensione di eterna ciclicità predetta e ribadita da Mike, “È il futuro o è il passato?”, in cui Cooper, “il sognatore”, demiurgo portatore di speranza, è obbligato a tentare di salvare Laura Palmer, innocente e dannata, per sempre.
Nell’estremo tentativo di Cooper di prendere per mano Laura in un vecchio o nuovo passato, le familiari note di Falling sembrano suggerire una via di salvezza, prima che una Julee Cruise invecchiata ricordi a tutti noi sognatori che The World Spins (Episodio 17). Così, ancora una volta e in una straniante cornice di un futuro passato, l’ultimo suono che udiamo provenire da Twin Peaks è il grido lacerante di Laura Palmer o Carrie Page (Episodio 18). Niente è mai iniziato, tutto è concluso. Speranza. Dannazione. Silenzio.
SCHEDA TECNICA
Twin Peaks – Il ritorno (Twin Peaks: The Return, USA, 2017) – REGIA: David Lynch. SCENEGGIATURA: David Lynch, Mark Frost. FOTOGRAFIA: Peter Deming. MONTAGGIO: Duwayne Dunham, David Lynch. MUSICHE: Angelo Badalamenti. CAST: Kyle MacLachlan, Dana Ashbrook, Mädchen Amick, Margaret Lanterman, David Lynch. GENERE: Drammatico. DURATA: 18 episodi (60’). Trasmesso su Sky Atlantic dal 26 maggio 2017
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