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Melodie sospese
C’era una volta, tanto tempo fa, un’immagine nata inconsciamente nella fervida fantasia di un solitario adolescente di Burbank, nient’altro che una sagoma di cartone.
Edward, partorito in tenera età e rielaborato poi con finezza compositiva negli anni Ottanta, divenne un’intramontabile icona gothic-dark di Tim Burton, il cineasta che amava i mostri: l’uomo con le forbici al posto delle mani, l’invenzione a metà, il “nero” dell’anima che, nel classico del 1990, poterà siepi disegnando forme artistiche e scolpirà statue di ghiaccio portando la neve nello sgargiante quartiere americano creato da Bo Welch.
Come il rimosso freudiano che s’insinua per incanto nel corteo dei “normali”, il freak rieletto monstrum dalla poetica burtoniana viene rigettato dal castello natio alle squallide miserie del “way of life” borghese, scovando affetti inaspettati e tagliando tutto ciò che vorrebbe solo sfiorare dolcemente. La surrealtà fiabesca del racconto è quella di Lewis Carroll ma, nella topografia cittadina di caricature borghesi e famiglie su misura, non esistono poetiche della soglia e del passaggio dimensionale, solo bizzarri raccordi tra alto (il tetro castello in cima alla collina) e basso (la periferia uniforme della Florida). Ed è così che l’outsider viene al mondo per la seconda volta, girovagando per le vie tutte uguali dei quartieri e seguendo un’orizzontalità narrativa che è anche percorso di formazione. Se la struttura della storia è circolare come tutte le fiabe che si rispettino e lo sviluppo del narrato si dispiega lungo un’uniformità di quadri giustapposti, la musica ineffabile di Danny Elfman segue ascensioni eteree e movimenti in levare che scandiscono un tempo multiforme e polisemico: eterno nello svolgimento del racconto universale, martellante quando si snodano le indimenticabili gag slapstick, intermittente nell’alternarsi dei flashback che rievocano la vicenda di Edward, lineare nella registrazione deformata degli eventi vissuti dai personaggi della comunità.
A suggerire e mostrare l’atmosfera sospesa come neve che danza, nonostante i cambi di ritmo e i tempi divergenti, è la partitura altisonante dell’autore che aveva già collaborato con Burton in Pee – Wee’s Big Adventure, Beetlejuice – Spiritello porcello e Batman, in un susseguirsi di ghirigori musicali e cori gotici che, dal neoclassicismo gonfio di fanfare e ritmi forsennati del primo film e dalla perentoria enfasi concessa a commento sonoro delle gesta del pipistrello mascherato, arrivano a toccare le vette di un lirismo di marcata poeticità.
La musica di Elfman nei film di Tim Burton assolve alla medesima funzione dell’innesto delle memorie nella testa di Douglas Quaid in Atto di forza di Paul Verhoeven: dà avvio ad un sogno condiviso e sovrasta dall’alto il tripudio coloristico dei quartieri in cui si aggira il diverso. Crea un’esperienza emotiva indimenticabile che, dall’epicità allucinata dell’odissea marziana, si rovescia in un incantesimo sonoro che accompagna le immagini come in un turbinio incessante di fiocchi bianchi.
SCHEDA TECNICA
Edward – Mani di forbice (Edward Scissorhands, USA, 1990) – REGIA: Tim Burton. SCENEGGIATURA: Caroline Thompson. FOTOGRAFIA: Stefan Czapsky. MONTAGGIO: Colleen Halsey, Richard Halsey. MUSICHE: Danny Elfman. CAST: Johnny Depp, Winona Ryder, Dianne Wiest, Anthony Michael Hall, Vincent Price, . GENERE: Horror, commedia. DURATA: 90’
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