L’Iran per parlare del mondo – And, toward happy alleys
Sreemoyee Singh viene da Calcutta. All’università si innamora del cinema persiano e della poesia di Forough Farrokhzad (che nella sua breve vita è stata anche regista). Decide allora di imparare il farsi, aiutata dalle canzoni come Soltane Ghalbha, un classico del pop melodico persiano anni Sessanta, che a Sreemoyee suona familiare perché ricorda molto le melodie coeve di Bollywood. Ma non basta: l’Iran chiama Sreemoyee che decide di partire per Teheran per girare un documentario come dissertazione finale universitaria.
A Teheran, Sreemoyee cerca di tenere più aperto possibile l’obiettivo della sua camera. Quanto agli autori cinematografici persiani, intervista Mohammad Shirvani che tenta di parlare di erotismo mentre il trapano del vicino, non volendo, lo censura. Cerca di avvicinarsi a Abbas Kiarostami che purtroppo muore due giorni dopo il tentativo. Chi spicca più di tutti però è Jafar Panahi, che Sreemoyee riesce a rendere amico dello spettatore. Il regista del Palloncino bianco porta la giovane film maker indiana in giro per la città in macchina come nel suo film Taxi Tehran. Parla candidamente del suo arresto, della condanna a non fare più film e a non lasciare il paese, dello sconforto e la depressione che sono seguiti e del suo tentativo di suicidio in mare. Dal quale si è ripreso giurando che in un modo o nell’altro avrebbe continuato con il cinema.
Il regista poi ci presenta le sue ex attrici bambine: Aida e Mina Mohammadkhani. E chiede spesso a Sreemoyee di cantare perché il codice di modestia imposto dall’alto alle donne iraniane lo impedisce.
C’è un momento in cui Sreemoyee intervista due taxisti, due persone per bene che però dicono cose agghiaccianti: l’hijab, il velo, per loro non deve essere solo un tessuto ma la donna deve sviluppare uno “hijab interiore” che è sinonimo di modestia. Modestia è vestire i propri sentimenti.
L’attore Farhad Kheradmand invece racconta di quando, su un set di Kiarostami, improvvisando ha cantato Un paese vuol dire non essere soli in italiano, pezzo eseguito da Milly e da Mario Pogliotti del Cantacronache che l’ha scritto rielaborando frasi celebri della Luna e i Falò di Cesare Pavese. Un cieco inviato dal regime per valutare il film – avete capito bene – sentì che il pezzo era in una lingua straniera e lo fece togliere. È un rospo che Kheradmand dopo tanti anni non è riuscito a ingoiare.
Il cinema così difficile da fare in un paese così complicato, la poesia di Forough Farrokhzad che va in direzione opposta al concetto di “hijab interiore” dei due uomini che hanno interiorizzato idee passate dal regime e la condizione femminile. Sreemoyee si sofferma sulla mania delle donne persiane di rifarsi il naso (comprensibile, quando dai vestiti esce solo la faccia), filma gli albori delle proteste delle “ragazze di Enghelab Street”, intervista l’avvocata Nasrin Sotoudeh, celebre per aver difeso donne e attivisti, che dopo questo film verrà arrestata di nuovo e condannata a trentatré anni di carcere e centoquarantotto frustate. Il film termina con un’immagine quasi profetica se si pensa a quel che ora sta succedendo in Iran: Sreemoyee canta Soltane Ghalbha in una scuola di bambine. Le bambine cantano con lei.
L’Iran come metafora di un mondo in cui, per contraccolpo, il conservatorismo sta riprendendo piede e lo spazio vitale delle persone e della libertà di espressione va difeso. Questo è il messaggio del film, una dichiarazione d’amore al bello della Persia che il regime ha cercato di soffocare invano: Sreemoyee intercetta gli umori che sarebbero poi scoppiati nella rivolta che ha preso il nome di “Donna, vita, libertà”. Una lotta cruda, fatta di scuole avvelenate, di polizia che spara sulla folla uccidendo anche i bambini ma fatta anche di resistenza, di fiducia nel cambiamento, di rischio in nome di un ideale di libertà spesso proveniente da una generazione che i grandi credevano di aver perso nella propaganda di regime. Invece.
Invece la Persia è anche cinema, struggenti canzoni d’amore, donne forti e poesia. Quando i tempi sono oscuri, è a questo – al buono che c’è – che occorre attaccarsi per lottare. Sreemoyee Singh lo fa attraverso il cinema.
SCHEDA TECNICA
And, Towards Happy Alleys (India, 202a) – REGIA: Sreemoyee Singh. FOTOGRAFIA: Sreemoyee Singh. MONTAGGIO: Joydip Das, Jabeen Merchant, Pradyatan Bera. MUSICA: Majdy. CAST: Sreemoyee Singh, Jafar Panahi, Nasrin Sotoudeh, Mohammad Shirvani, Mina Mohammadkhani, Aida Mohammadkhani. GENERE: Documentario. DURATA: 75′.