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Premio Oscar 2015 per il Miglior Film, Birdman di Alejandro González Iñárritu può essere considerato un film jazz. Scoprite le motivazioni di Andrea Zacchi
In onda giovedì 30 su RSI LA2, ore 23.50
L’insostenibile leggerezza di essere attore
Riggan Thompson, attore sul viale del tramonto che ha conosciuto la fama per il ruolo del supereroe pennuto Birdman in una serie di film di successo negli anni novanta, decide di mettere in scena a Broadway un racconto di Raymond Carver con la speranza di risollevare la propria carriera e di potersi finalmente affermare come attore impegnato. Perseguitato da una voce interiore con le sembianze di del suo personaggio, che lo spinge a ritornare al cinema commerciale abbandonando inutili velleità artistiche, Riggan si avvicina alla prima teatrale sprofondando in una spirale di ansia e insicurezza, tentando di districarsi tra un attore bizzoso osannato dalla critica, la figlia ex tossicodipendente, un’attrice arrivata non più giovane alla grande occasione, oltre ad amante, ex moglie ed una potentissima critica teatrale cinica e prevenuta.
Birdman è per certi versi un film jazz, come tutta la sincopata colonna sonora a base di batteria (composta dal batterista messicano Antonio Sánchez), e come il jazz vive di virtuosismo (regia), affiatamento (attori), variazioni su un tema (la crisi di un attore), geniali passaggi tra le note (invenzioni visive ed incursioni nel fantastico e nel surreale) e cambi di tempo (strabiliante il modo con cui all’interno di un piano sequenza si viene condotti in luoghi e tempi diversi).
Quello che manca rispetto al jazz è l’improvvisazione: l’essersi ingabbiati in un sostanziale unico e continuo piano-sequenza, seppur realizzato meravigliosamente, finisce per irrigidire la struttura narrativa. A differenza ad esempio di Orson Welles e Robert Altman, che avevano deciso di aprire i propri film (rispettivamente L’infernale Quinlan e I protagonisti) con un piano-sequenza della durata di pochi minuti, Iñárritu lo porta avanti per i 119 minuti di Birdman, scelta stilistica che finisce per penalizzare la fluidità del racconto.
Ribadita la stupefacente regia e le grandi prove degli attori (su tutti Michael Keaton e Edward Norton, i quali – essendo stato Keaton il primo Batman ed essendo Norton considerato attore impegnato e difficile – recitano divinamente una versione esasperata di se stessi), il film risulta un po’ freddo, rischio di ogni esecuzione troppo virtuosa, in cui la tecnica mette in secondo piano l’emozione: la scelta stilistica dell’unica inquadratura che segue i personaggi restituisce una sensazione di finzione che, se da una parte è congeniale ad un film sul teatro e sugli attori, dall’altra pone una distanza tra lo spettatore ed i personaggi stessi, facendo ombra in particolare sull’umanità del protagonista e rendendo difficile empatizzare con il suo piccolo personale tormento.