TRA “LA STRANA COPPIA” E “MISSISSIPPI BURNING”
Il film, che prende il nome da The Negro Motorist Green Book (una guida di viaggio che indicava i motel e i ristoranti che accettavano le persone di colore), racconta la storia vera di Tony Vallelonga (Viggo Mortensen) che nel 1962 accompagnò come autista il pianista di colore Don Shirley (Mahershala Ali) in una serie di concerti nel sud degli Stati Uniti, dove ancora vigeva la segregazione razziale.
Peter Farrelly, trasportando umorismo da La strana coppia dentro uno scenario da Mississippi Burning, realizza, con il fondamentale contributo di due attori in stato di grazia (sia Viggo Mortensen che Mahershala Ali sono candidati all’Oscar), una solida ed efficace commedia venata di dramma, con al centro l’incontro tra due personaggi che non potrebbero essere più diversi: da una parte Tony, buttafuori italoamericano manesco, triviale e un po’ razzista, dall’altra Don Shirley, virtuoso del pianoforte, afroamericano, raffinato, elegante e un po’ snob. La reciproca forzata conoscenza finirà per cancellare i rispettivi pregiudizi ed arricchire entrambi, dando vita ad un rapporto di amicizia.
Nonostante non manchi la denuncia dell’ingiusta, angosciosa e frustrante condizione degli afroamericani nel profondo sud americano negli anni sessanta (ma è chiaro il riferimento ad un attualità in cui rivive quel passato), Green Book è in definitiva un feel-good movie, in cui prevale un messaggio positivo (oltre ai poliziotti cattivi ci sono anche quelli buoni e basta telefonare a Bob Kennedy per uscire di prigione) e da cui traspare l’ottimistico assunto che il razzismo sia solo una superficiale patina di ignoranza, facilmente raschiabile via per fare emergere rispetto ed amicizia.
Notevolissimo è il lavoro fatto da Kris Bowers per la colonna sonora: oltre a comporre brani originali (ora attingendo alla musica tradizionale nera americana, spirituals e inni di chiesa in particolare, ora con pezzi più jazz con pianoforte e violoncello, ma sempre in sintonia con la musica del periodo), ha trascritto ed eseguito la musica di Shirley (popolare e jazz con influenze classiche), riproponendo il suo l’inusuale trio (piano, contrabbasso e violoncello invece del classico piano o chitarra, contrabbasso e batteria) per i brani dei concerti che si vedono e si ascoltano nel film. La leggerezza vellutata che avvolge la pellicola molto dipende poi dai numerosi brani degli anni cinquanta e sessanta che si susseguono: dallo swing di That Old Black Magic (Harold Arlen & Johnny Mercer) al rhythm and blues di One Mint Julep (The Clovers), Lucille ( Little Richard ) e Slow Twisting (Chubby Checker ), passando per il soul di A Letter From My Baby (Timmy Shaw), Won’t Be Long (Aretha Franklin ) e Your Replacement Is Here ( Edd Henry).
Infine il regista, in continuità con il proprio percorso cinematografico (Scemo & più scemo, Tutti pazzi per Mary, Amore a prima svista), sembra voler anche rivendicare il sostanziale carattere positivo della semplicità dell’uomo comune, perfino nei suoi aspetti di volgarità, ignoranza e rozzezza, in qualche modo associandoli in fondo alla generosità ed ai buoni sentimenti. Che la simpatia del regista (e con lui dello spettatore) vada, tra i due protagonisti, nettamente a favore di Tony è abbastanza evidente. Come evidente è che il personaggio di Don Shirley sia quello potenzialmente molto più interessante: uno straordinario pianista, di colore e omosessuale, nell’America degli anni sessanta, rispettato ma anche emarginato sia dalla comunità bianca che da quella nera, costantemente costretto a scendere a compromessi (nella vita e anche nella musica, tanto che lui vorrebbe suonare solo musica classica ma non può) con un mondo che non lo può accettare ed in cui non riesce a trovare un posto (“Se non sono abbastanza nero e non sono abbastanza bianco e non sono abbastanza uomo, allora dimmi, Tony, che cosa sono io?”). Probabilmente tutte queste contraddizioni avrebbero meritato molto più spazio, ma sarebbe stato tutto un altro film.