Perché “Jules et Jim” è un capolavoro
Spesso si danno molte cose per scontate, si affibbiano epiteti senza valutare il peso delle parole. “Capolavoro” è una parola che va guadagnata e Jules et Jim, un film da godere sul grande schermo sul quale è ritornato dopo il restauro, se la merita tutta.
La trama, lo sappiamo, viene dall’omonimo libro autobiografico di Henri Pierre Roché: Jules (Oskar Werner) e Jim (Henri Serre) incontrano Catherine (Jeanne Moreau) una donna estremamente intelligente e libera per cui entrambi perdono la testa, senza scordarsi però la propria profonda amicizia. Truffaut s’innamorò del libriccino e corrispose con l’autore per farne un film, seppure quest’ultimo non fece in tempo a vederlo realizzato. La difficoltà di Truffaut fu rendere filmicamente lo stile di scrittura di Roché, tanto proustiano nei temi quanto antiproustiano nello stile scarno, nelle frasi all’osso che lo rendono quasi la sinossi di un diario.
La voce fuoricampo, in altri contesti fuori luogo, qua è fondamentale per gettare là, come frecce, frasi come: “La felicità si racconta male e si consuma presto”, che fanno del libro e del film dei modelli di educazione sentimentale alternativa – e non solo. Le digressioni filmiche (su Marie Dubois, sul paesaggio, sulle biciclette) servono a godere gli attimi e il loro contesto come si godono lo spazio e le sensazioni durante un giorno di vacanza (che deve finire, lo sappiamo). Come se veramente si uscisse, proustianamente, dal tempo – seppure solo per qualche attimo. Il bianco e nero serve a dare l’idea di ricordo. Tutti questi elementi potrebbero far pensare a un film estremamente pesante, invece l’insostenibile leggerezza di Jules et Jim è il tributo più bello allo spirito del libro di Roché.
Georges Delerue, il “compositore della Nouvelle Vague”, ci mette del suo a costruire l’atmosfera, con i suoi ariosi malinconici e i suoi temi diventati grandi classici del cinema. Delerue stava a Truffaut come Hermann stava a Hitchcock, lo sappiamo. La montatrice, Claudine Bouchet, racconta che unire musica e voce over è stato un vero problema a causa dei crescendo che andavano a coprire la narrazione. Ma Truffaut non ne voleva sentire di eliminare l’ottimo lavoro di alternanza fra melodie liriche e temi più scuri ricamato dal musicista. Delerue stesso ha dichiarato di aver composto una musica che facesse da contrappunto all’immagine.
Truffaut diceva: “L’idea del film è che la coppia non è un sistema soddisfacente, ma non ci sono alternative” e probabilmente semplificava per farsi capire dalla stampa, perché Jules et Jim non parla solo di questo. Catherine è una donna inquieta, eppure è portatrice di una quête di felicità che non solo è desiderio legittimo umano ma per la quale è disposta a fare cose estreme. La sua è una sfida titanica, eppure non lotta per lottare. Non accontentarsi e cercare strade alternative negli anni ’60 era un ideale bello e poetico, al giorno d’oggi è uno sforzo che necessita una consapevolezza e un coraggio sociale non indifferenti. Forse è per questo che il film ha ancora qualcosa di forte da mostrare. Dall’altro lato c’è la consapevolezza che, alla fine dei giochi, “ognuno riparte/nel mulinello della vita” come dice l’immortale canzone interpretata dalla grande Jeanne Moreau e da Bassiak (che l’aveva scritta perché fosse diffusa fra pochi amici), riproposta negli anni anche da Vanessa Paradis e Alizée.
Il tempo esiste e l’esperienza umana vi è inzuppata dentro, seppure lo spirito, come Catherine, debba sempre lottare per tramutare l’esperienza in extratemporale e gioirne. Non a caso, la donna accetta (catonianamente) la sua sconfitta quando giungono notizie dalla Germania: il regime nazista sta bruciando libri in piazza. E la pesantezza del tempo presente irrompe. Franz Hessel, il papà di Stephan Hessel di Indignatevi!, il Jules reale, prima di morire era stato internato al Camps de Milles di Aix-en-Provence, divenuto dopo la morte di Hessel uno dei centri di smistamento per persone dirette ai campi di sterminio. Roché (e dunque Truffaut) desiderano liberare la felicità del ricordo dalla pesantezza della storia del XX secolo. Ecco perché, notava Jeanne Moreau, la gente tende a scordarsi il finale.
Nel film, Jules è timido e meno incline a decisioni drastiche, ma la sua santa pazienza denota la sua grande intelligenza. Jim è forse il più spensierato – o vorrebbe esserlo. Ma assieme ai tre, la presenza di François Truffaut (la sua scrittura visiva) si disvela in momenti di grande delicatezza come la celebre scena d’amore di Jeanne Moreau in controluce e di profilo, o il primo piano serrato di Werner e Moreau che piangono guancia a guancia, che sul grande schermo emanano una sorta di balsamo contro la violenza psicologica che respiriamo continuamente nel presente.