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L’eterno ritorno della Summer of Love
Un documentario autorizzato per raccontare trent’anni di attività dei Grateful Dead, con un approccio che possa appagare i Deadhead e allo stesso tempo incuriosire i neofiti. Amir Bar-Lev c’è riuscito. Ad essere sinceri, il progetto prevedeva la realizzazione di un documentario di 90 minuti, ma proprio come accadeva con le canzoni del gruppo, la durata si è estesa fino a quasi quattro ore che, strano a dirsi, risultano persino poche.
Long Strange Trip riesce a prendere le distanze dalla pedanteria cronologica, con una strategica omissione del lunghissimo elenco degli album e persino dei nomi di tutti i musicisti che hanno costituito la lineup del gruppo nel corso degli anni: la narrazione, va da sé, è piena di lacune e tutt’altro che esaustiva, ma risulta scorrevole e ha il sapore di un’improvvisazione attentamente pianificata. Così, anziché tracciare un’evoluzione, Amir Bar-Lev sceglie di procedere per temi e divide il documentario in sei atti, che pur guidando lo spettatore dalla nascita dei Dead alla morte del loro leader, permettono di puntare sul coinvolgimento affettivo e sulla visione partecipata.
Quanto a genere musicale, i Grateful Dead sono un gruppo difficilmente inquadrabile, che mescola folk, psichedelia, bluegrass, jazz e rock, sfuggendo alle logiche di un prodotto etichettabile e dunque più facilmente commercializzabile. La colonna sonora del documentario è ricchissima, ma per ovviare alla mancanza di organicità data da una produzione sterminata e variegata, Amir Ban-Lev insiste su alcune celeberrime canzoni, come Morning Dew o St. Stephen, che ripropone più volte, così da trasformarle in leitmotiv.
I Grateful Dead, da sempre allergici alla registrazione di dischi in studio, preferivano puntare sui live, più consoni all’irrinunciabile pratica dell’improvvisazione. Tuttavia, Long Strange Trip non cede alla tentazione di riprodurre l’esperienza della performance, ma fonde materiale d’archivio e interviste ai membri superstiti della band per evocare la peculiare atmosfera che ne caratterizzava i concerti.
A differenza di quanto accadeva per altri gruppi, ancorati al culto dei musicisti da parte di un pubblico ridotto a massa, durante la performance dei Dead la distanza tra palco e platea finiva per annullarsi: in un certo senso la produzione di musica aveva lo stesso peso della sua ricezione, tanto che il vero protagonista del concerto diventava il wall of sound, con le sue mille bocche, nonché l’aria stessa, satura di musica. Già il gruppo si costituiva come Dead Family, cioè una comunità allargata della quale facevano parte musicisti, familiari e roadie. A questi si aggiungeva il seguito dei Deadhead, i fan. Era un vero e proprio microcosmo, impegnato ad inscenare, ad ogni concerto, l’eterno ritorno della Summer of Love; non quella degli hippie da cartolina, ma quella di chi ha continuato a credere di poter sciogliere il proprio ego nell’acido e di prendere parte a un’esperienza collettiva, al di là di spazio e tempo. Per quanto siano onnipresenti sorrisi, colori sgargianti e una naïveté da infanzia idealizzata, lo scopo del viaggio di Long Strange Trip, sia esso inteso come tour continuo alla scoperta dell’America o come vero e proprio trip, è la ricerca di un’utopica sospensione temporale, che se da un lato permette la soppressione del sistema in tutte le sue forme, dall’altro costringe inevitabilmente a familiarizzare con un’esperienza di morte.
SCHEDA TECNICALong Strange Trip (Id., USA, 2017) – REGIA: . SCENEGGIATURA: Amir Bar-Lev. FOTOGRAFIA: Nelson Hume. MONTAGGIO: Keith Fraase, Brian Funck, John W. Walter. MUSICHE: Grateful Dead. CAST: Jerry Garcia, Bob Weir, Bill Kreutzmann, Phil Lesh. GENERE: Documentario. DURATA: 238′. Disponibile dal 2 giugno 2017 su Amazon Prime Video
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