Tra Vivaldi, tango e cha cha cha
La seconda opera cinematografica di Pasolini si ispira ad un fatto di cronaca accaduto nel carcere Regina Coeli a Roma il 29 novembre del 1959: la morte del giovane 19enne Marcello Elisei tenuto in condizioni disumane all’interno di una cella su di un letto di contenzione. Il film arriva due anni dopo l’esordio borgataro Accattone (1960) e ne sembra ricalcare le orme stilistiche e tematiche, ma anche costituirne un’ideale sviluppo storico e sociale. Infatti Mamma Roma, come la città di Roma e l’Italia intera, attraversa un momento di profondo cambiamento, di transizione: con lo sposalizio del suo pappone Carmine, può finalmente sentirsi una donna libera e portare via il figlio Ettore dalle borgate verso la nuova Roma in cui si sta insediando la cultura piccolo-borghese figlia del boom economico in atto proprio in quegli anni. Pasolini lascia sullo sfondo le care borgate per intavolare un altrettanto caro discorso sull’Italia piccolo borghese che svilupperà poi nella sua opera a venire. Come egli stesso sottolineava, nel personaggio di Mamma Roma ci sono punti di contatto con Accattone: l’angoscia mortale e l’allegria senza storia, ma c’è anche “qualcosa dell’altro mondo, cioè del nostro mondo, l’ideale piccolo borghese. […] Infatti quando lei prende il figlio e lo porta a Roma, sa già quello che vuole […] si getta allo sbaraglio nella nuova vita con il figlio e nasce il caos, perché la contaminazione tra l’ideologia piccolo-borghese e le sue esperienze da prostituta non possono far nascere che il caos, e qui comincia la confusione, il crollo delle sue speranze, il fallimento della nuova vita con il figlio”.
Il tutto è evocato da una colonna sonora che rispecchia alla perfezione tale ambivalenza. Le alte e sinfoniche musiche barocche di Antonio Vivaldi (eseguite da Carlo Rustichelli) dedicate a momenti specifici della narrazione, come gli incontri amorosi tra Ettore e Bruna o l’apparizione in scena di Carmine o la morte dello stesso protagonista, sono intervallate dai cha cha cha e dal tango dolceamaro di Violino Tzigano, vero protagonista musicale dell’intero film (che fuoriesca da un giradischi o dalle labbra di un detenuto), tema che ritorna ad intervalli costanti e centrali della narrazione, cambiando forma e rappresentazione fino a sancire la fine del povero Ettore. Sarebbe riduttivo però relegare l’importanza della colonna sonora al solo commento musicale, diegetico o meno: la voce e le risate, i lamenti e le urla di Anna Magnani diventano parte integrante della colonna sonora, così come i canti e fischiettii. La sua grande e rumorosa interpretazione è punteggiata dalle fragorose e incontenibili risate iniziali, di genuina liberazione, dai flussi di coscienza e i ricordi passati raccontati ad ascoltatori occasionali nelle lunghe carrellate nei luoghi surreali dove Mamma Roma faceva la vita, all’urlo che di poco precede quell’assordante silenzio finale e quello sguardo di pietra fuori dalla finestra, su quel mondo colpevole di averle appena sottratto la sua unica ragion di vita.
Una miscela interessante quella tra Anna Magnani e Pier Paolo Pasolini, tra una delle più grandi attrici italiane e mondiali e un intellettuale poco più che esordiente al cinema e solito lavorare con attori presi dalla strada, che non sempre andarono d’accordo, ma che assieme scrissero questa indelebile pagina di cinema.