Manhattan

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Voto al film:

Rapsodia in bianco e nero

Se, come il protagonista in una delle scene più famose del film, ci si mettesse sdraiati sul divano ad elencare le cose per cui vale la pena vivere, Manhattan potrebbe legittimamente rientrare, come tutto il grandissimo cinema, nella lista.Considerato, insieme a Io e Annie, il capolavoro di Allen, la pellicola racconta la tardiva educazione sentimentale di Ike, quarantaduenne newyorchese − due divorzi ed un lavoro da sceneggiatore comico per la tv − tra una relazione che vede senza futuro con Tracy, solare studentessa diciassettenne innamoratissima di lui, e l’incontro con Mary, giornalista nevrotica ed amante clandestina di Yale, professore universitario e suo miglior amico.

Un Woody Allen in stato di grazia realizza un’opera in perfetto equilibrio tra comicità (il film è lastricato da un gran numero di battute esilaranti, al ritmo di quasi una al minuto, alcune delle quali meravigliose), commedia romantica (iconica l’immagine di Ike e Mary sulla panchina con vista sul ponte di Queensboro), dramma introspettivo e riflessione amara sulle relazioni amorose.

Il film è anche un’appassionata dichiarazione d’amore a New York (era la città del regista e lo sarebbe sempre stata), magnificamente fotografata in bianco e nero da Gordon Willis: una scelta estetica che ne esalta il fascino ma che è anche funzionale ad una rappresentazione della città che appare, in una visione che quasi si avvicina al realismo magico, tanto vera quanto avvolta in un’atmosfera magica e surreale. La Manhattan di Allen non è la metropoli di fine anni Settanta (il film è del 1979), ma una città fuori dal tempo, nostalgica, irreale, romantica e suggestiva, lontana anni luce da quella che tre anni prima aveva raffigurato così crudamente e realisticamente Scorsese in Taxi Driver.

La città più verticale del mondo viene poi mostrata, grazie al formato panoramico, in orizzontale, permettendo ad Allen sia di restituire la vastità degli spazi (come lo skyline di notte illuminato dai fuochi d’artificio che ricordano le esplosioni sulla giungla del Vietnam di Apocalypse Now) sia di riempire le inquadrature con la vita che scorre intorno ai personaggi.

Ruolo essenziale, allo stesso tempo cornice e quadro, riveste la splendida musica, sospesa tra jazz, classica e musical, di George Gershwin (nato a Brooklyn come Allen), eseguita dalla New York Philharmonic diretta da Zubin Mehta e dalla Buffalo Philharmonic Orchestra diretta da Michael Tilson Thomas. I brani di Gershwin (su tutti lo straordinario Rhapsody in Blue, ma anche Someone to Watch Over Me e Embraceable You), suadenti, vitali, scintillanti, impetuosi e malinconici, sono perfetti per corredare le immagini di una metropoli vista attraverso le lenti di Allen, tra strade trafficate, locali affollati e cocktail parties.

Seppure influenzato stilisticamente da Bergman (venerato da Allen tanto da citarlo espressamente in una scena come un genio), Manhattan è un film estremamente personale ed autobiografico (anche negli aspetti più scabrosi come la passione per le minorenni), nel quale Allen racconta senza veli le miserie morali e le ipocrisie del mondo intellettuale progressista newyorchese a cui egli stesso appartiene. Ike/Allen (qui bravissimo anche come attore, in particolare nella scena finale con l’altrettanto brava Mariel Hemingway/Tracy) è, come Manhattan, un’isola. Prigioniero del proprio narcisismo, è incapace di comunicare soprattutto con se stesso e di vedere i suoi veri sentimenti. Come la Delphine de Il raggio verde di Rohmer, attende un’illuminazione che per lui arriverà forse troppo tardi.

L’articolo è apparso anche su Cinefilia Ritrovata
SCHEDA TECNICA
Manhattan (Id., USA, 1979) – REGIA: Woody Allen. SCENEGGIATURA: Woody Allen, Marshall Brickman. FOTOGRAFIA: Gordon Willis. MONTAGGIO: Susan E. Morse. CAST: Woody Allen, Diane Keaton, Michael Murphy, Mariel Hemingway. MUSICA: George Gershwin. GENERE: Commedia. DURATA: 96’

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