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Note ai margini
Roxanne Roxanne, diretto da Michael Larnell e prodotto tra gli altri da Forest Whitaker e Pharrell Williams, ha il pregio di portare sullo schermo la storia di Roxanne Shanté, influente voce del rap anni Ottanta, capace di trasporre in musica le delicate questioni di genere da un punto di vista opposto a quello della maggioranza maschile che dominava la scena.
Sin da bambina, Shanté si arrabatta tra furti e sfide in rima, aiutando così la madre a portare avanti casa e famiglia nel Queens. Una vita ai margini, in cui il rap diventa forma di denuncia e protesta contro un sistema che ha ammassato i più poveri in degradate periferie, dimenticandoli piuttosto che occuparsi di loro. Facendo della propria aggressiva femminilità l’aspetto di maggior originalità della sua arte, la ragazzina si afferma rapidamente, portando con le Roxanne Wars una ventata di agguerrita freschezza in un ambiente dove le donne sono più spettatrici che protagoniste.
Larnell pone l’attenzione sugli anni di formazione della protagonista, raccontandone il contesto che ha contribuito a forgiare la persona più che la fulminante carriera della cantante, figura ancora oggi centrale nella scena americana nonostante soli due album in studio, una raccolta e la partecipazione a tre colonne sonore. Ma il taglio dato al racconto non rende merito al personaggio, ben più complesso e articolato di quanto portato sullo schermo. Il regista tralascia il ritiro dalle scene di Roxanne all’età di venticinque anni per tornare a studiare, laurearsi e prendere un master in psicologia, unico vero riscatto dalla chiusura fisica e mentale del ghetto. Tralasciando il percorso di maturazione della ragazza, si finisce con l’appiattirla a una rappresentazione banale e stereotipata, che pare uscita da uno dei tanti film a lei contemporanei ambientati nelle periferie afroamericane.
L’occasione di raccontare la parabola della rapper che abbandona la strada e il marito violento e possessivo per costruirsi una vita dignitosa e consapevole del proprio passato, viene così a scemare in un deprimente racconto di soprusi in cui il canto si fa, più che mezzo di emancipazione, veicolo di rapida ascesa e arricchimento materiale. Non aiuta neppure la colonna sonora, troppo scarsa per un film su una musicista, che trova in alcuni rap senza base e in rare esibizioni dal vivo le sole occasioni di far scoprire al pubblico le canzoni di Roxanne. Pochi lampi che non bastano a rischiarare un’immagine resa così fin troppo buia.