Musica come colpa, musica come salvezza
Il 13 dicembre 1968 la dittatura brasiliana emana la Legge Istituzionale n. 5 (A. I. 5). Quattordici giorni dopo, il cantautore Caetano Veloso viene arrestato senza conoscerne il motivo. Inizia così per lui un incubo che durerà 54 giorni e che ora, cinquant’anni più tardi, il musicista trova la forza di raccontare a Renato Terra e Ricardo Calil (e attraverso di loro a tutti noi) in un documentario semplice ma di grande impatto emotivo. Caetano è seduto davanti alla macchina da presa e, saltuariamente interrotto dalle domande di uno dei registi, ripercorre i fatti della sua prigionia sia su un piano cronachistico sia a livello emotivo. Questo è uno dei pregi del film: l’equilibrio perfetto tra una testimonianza storica e un racconto coinvolgente, che non scade mai nel melodramma, nemmeno quando Caetano si commuove. Non mancano infatti momenti davvero toccanti in cui le lacrime gli sgorgano dagli occhi, come il ricordo dell’agente che fu arrestato per aver permesso alla moglie di fargli visita in cella. Anni dopo, Veloso scriverà una canzone su questo episodio e la commozione provata nel racconto diventa significativa anche alla luce del fatto che il cantautore confessa la sua incapacità di piangere durante tutto il periodo della detenzione. Oggi invece, essendo quell’incubo ormai alle sue spalle, riesce a farlo. Così come – e l’accostamento parrà strano – riesce ad eccitarsi. Per Caetano lacrime e sperma sono manifestazione dello spirito che fluisce dal corpo: il poter piangere e il poter vivere nuovamente la sua vita sessuale vengono identificati da Veloso come elementi di riappropriazione di quella libertà che in carcere poteva raggiungere soltanto attraverso la musica.
Fu la musica infatti a rappresentare qualcosa a cui aggrapparsi per non morire. Era la musica che si sentiva alla radio a scandire il tempo che passava, in un’annichilente monotonia di ore e di giornate tutte uguali. Aspettava il passaggio di Hey, Jude come una boccata d’aria fresca: ogni accordo di quel ritornello era una carica di energia positiva che lo faceva pensare alla libertà: “Sul finale di Hey, Jude pensavo di poter vedere le porte che si aprivano, mi dava la sensazione di un annuncio di libertà”. Appena finisce di raccontare questo sentimento, Veloso prende la chitarra e inizia a cantare la canzone dei Beatles, in uno dei pochi momenti del film in cui l’inquadratura si allarga a mostrare anche le mani e lo strumento. A differenza del suo amico Gilberto Gil, anche lui in carcere negli stessi giorni, a Veloso non fu nemmeno data una chitarra perché non era laureato (poco importa che avesse dovuto abbandonare gli studi proprio a causa del golpe del 1964) e questo, oltre ad essere per lui un dramma nel dramma, era un’ulteriore punizione per il suo presunto crimine. Soltanto molti giorni dopo l’arresto il musicista scopre di essere accusato di aver deturpato l’inno nazionale, cantandone le parole su un tema musicale che il regime riteneva inappropriato. I registi forniscono a Veloso il verbale del suo interrogatorio e lui lo legge ad alta voce, commentando lo stile burocratico della scrittura (“Non c’è neanche la punteggiatura!”) e ridendo di gusto nell’apprendere che la sua musica veniva considerata “di protesta, svirilizzante, sovversiva”. In pratica Veloso era accusato di “terrorismo culturale”, perché la sua musica “che loda i sistemi socialisti” era molto più sovversiva di quella considerata ufficialmente “di protesta”. Caetano si rende conto che si sarebbe potuta dare alla sua musica un’interpretazione molto più sofisticata (ad esempio coinvolgendo il concetto di controcultura esposto da Marcuse) e molto più pericolosa dell’irriverenza della sua presunta performance.
Benché elogiare i sistemi socialisti non fosse affatto il suo scopo, Veloso riuscì a dimostrare di non aver commesso vilipendio né verso la bandiera né verso l’inno nazionale grazie all’aiuto di alcuni testimoni. Fu rilasciato e, giunto a casa, rivide suo padre: “Stetti bene”. Imbraccia la chitarra e intona Terra, mentre il film si conclude con l’immagine del nostro pianeta visto dalla Luna.