Giorgio Verdelli torna alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia con un altro ritratto di un grande musicista italiano: dopo Pino Daniele – Il tempo resterà (2017), Paolo Conte, via con me (2020) ed Ezio Bosso – Le cose che restano (2021), è ora Enzo Jannacci il protagonista del nuovo documentario del regista e produttore napoletano.
Come nelle altre sue opere, lo scopo di Verdelli non è quello di tracciare una biografia dell’artista ma di offrirne un ritratto per immagini a partire dalla sua musica: unendo materiali d’archivio, interviste allo stesso Jannacci e interventi di amici, collaboratori, “eredi” ufficiali e ufficiosi (c’è il figlio Paolo ma anche numerosi musicisti che rivendicano in Enzo un mentore, una guida), Verdelli ne scandaglia la molteplice e variegata attività.
Assistiamo quindi a varie esibizioni live, spesso in duetto con altri musicisti che, grazie al montaggio curato, di fronte alla macchina da presa di Verdelli sembrano introdurre indirettamente i filmati esponendo riflessioni sulla musica (Diego Abatantuono, Cochi Ponzoni, Roberto Vecchioni); troviamo personalità dello spettacolo che condividono con noi ricordi intimi per offrire uno sguardo più profondo sulla personalità di Jannacci (Dori Ghezzi racconta il magico duetto improvvisato con Mia Martini; Vasco Rossi legge la lettera in cui Enzo gli esprime la sua stima); rivediamo alcuni passaggi di Jannacci in televisione, a riprova del suo essere artista a tutto tondo; ci divertiamo a rivedere alcuni suoi sketch cabarettistici; soprattutto, ascoltiamo tanta musica di Enzo, da E la vita, la vita a El portava i scarp del tennis, da Canzone intelligente a Vincenzina e la fabbrica, passando per Quelli che e, ovviamente, per Vengo anch’io. Il film di Verdelli offre al pubblico anche brani di un’intervista inedita allo stesso Jannacci e la registrazione inedita della canzone Non posso sporcarmi il vestito.
Se ciò che emerge dalle varie testimonianze dell’ambiente musicale è una panoramica ricca ma non esaustiva dell’arte di Jannacci (dalle canzoni in milanese alle colonne sonore, dal teatro al cabaret agli studi sulla cultura popolare), abbastanza efficace risulta il ritratto umano che traspare dalle parole degli intervistati, che, con un misto di riverenza, affetto e fascinazione, raccontano “il più grande cantautore italiano” (Conte) o “l’unico, grande genio musicale italiano” (Vecchioni), soffermandosi però sul suo essere costantemente sorprendente, al di fuori degli schemi (viene definito “il Buster Keaton italiano”), un uomo dotato di una feroce ed amara ironia, nonché di una lucida follia che gli permetteva di trattare temi seri in modo farsesco. Per quanto eccentrica, infatti, la musica di Jannacci non era affatto superficiale: temi come “l’esclusivismo del singolo di fronte alla massa” (Vecchioni), l’omologazione o la povertà sono presenti nelle sue canzoni e trattati in modo talmente insolito sul piano musicale da produrre quella che Vecchioni definisce “letteratura del sentimento” inserita in una poetica paragonabile a quella della Nouvelle Vague o del Neorealismo (infatti non può mancare un colloquio tra Jannacci e Zavattini).
A dieci anni dalla morte, la personalità artistica di Jannacci appare ancora talmente poliedrica ed innovativa da risultare difficilmente inquadrabile: rimane un artista “fuori posto”. Non è un caso che il documentario si apra con una voce che urla: “Vieni fuori e rientra nel sistema!”.
SCHEDA TECNICA:
Enzo Jannacci – Vengo anch’io (Italia, 2023) – REGIA: Giorgio Verdelli. SCENEGGIATURA: Giorgio Verdelli. FOTOGRAFIA: Giuseppe Talotta. MONTAGGIO: Vitaliano Murdocco. MUSICA: Enzo Jannacci. CAST: Paolo Conte, Vasco Rossi, Paolo Jannacci, Roberto Vecchioni. GENERE: Documentario. DURATA: 97′.