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Pier Paolo Pasolini come non lo avete mai sentito nell’articolo di Marianna Curia sull’incontro tra Roberto Calabretto e Roberto Chiesi tenutosi alla sala Stabat Mater di Bologna, evento all’interno delle manifestazioni per il quarantennale dalla scomparsa dell’intellettuale italiano.
Presentiamo qui l’articolo pubblicato su Cinefilia Ritrovata
“Nel cinema di Pasolini la musica fa rumore. Nell’incontro coordinato da Marco Antonio Bazzocchi tenuto alla sala Stabat Mater della Biblioteca dell’Archiginnasio, il musicologo Roberto Calabretto (docente dell’Università di Udine) ha analizzato l’opera pasoliniana a partire dalla sua componente musicale: la sua ipotesi è che la semantizzazione della musica ricopra una ruolo di assoluta centralità nella poetica audiovisiva dell’autore. Se la musica non è intesa come mero sottofondo o accompagnamento alle immagini – rompendo dunque con la tradizione, a partire dal cinema delle origini – essa genera nello spettatore lo shock audiovisivo: così, ad esempio, secondo Calabretto, in Accattone la scena della rissa accompagnata musicalmente dalla Passione Secondo Matteo di Bach, restituisce quel senso di sacralità che le immagini da sole non avrebbero la forza di sostenere. Naturalmente, questa operazione di (ri)semantizzazione è possibile solo a partire dalla scelta di musiche precedentemente composte e dunque già cariche di una valenza semiotica profondamente storicizzata; così, sempre nella scena di Accattone, il montaggio è, per dirla con Calabretto, piuttosto «irriverente» in quanto se dal punto di vista tecnico non rispetta il sync, dal punto di vista concettuale determina la creazione di un’idea (ciò che, in definitiva, rappresentava per Ejzenštejn la teoria del montaggio verticale). L’egemonia autoriale del cinema pasoliniano non attinge solo al repertorio musicale colto – da Bach a Mozart – ma anche a quello della musica folk: così, ad esempio, nel Vangelo secondo Matteo, la poetica audiovisiva della commistione dei generi si risolve, per Pasolini, nell’uso di canti rivoluzionari russi in alternanza alla trasposizione per flauto dolce del Flauto magico di Mozart; o ancora, in Uccellacci e Uccellini, l’interesse per la canzone popolare è reso dai titoli di testa musicati da Morricone e cantati da Modugno. La centralità della componente musicale nella direzione della ricerca di un nuovo significato dell’immagine audio-visiva (quella che Ejzenštejn definirebbe immagine sintetica), potrebbe rintracciarsi, ancora, nella realizzazione di veri e propri documenti sonori che riutilizzano brani musicali popolari di interesse esclusivo dell’ indagine etnomusicologica di allora (Edipo re e Medea).
Se delle colonna sonore pasoliniane Calabretto ha approfondito la parte musicale, Roberto Chiesi (responsabile dell’archivio Pasolini della Cineteca di Bologna) si è soffermato su quella degli effetti. Per Chiesi, il frinire delle cicale è un vero e prorpio leitmotive (Edipo re, Medea, Decameron), fino all’ultima delle opere, Salò, in cui il rumore degli aerei costruisce addirittura una «dimensione irreale, quasi onirica». L’indagine di Chiesi sui suoni e i rumori dei paesaggi sonori pasoliniani, rivela l’interesse dell’istanza enunciativa nei confronti della dimensione sonora attraverso la propensione alla postproduzione piuttosto che alla presa diretta: anche i rumori, come le musiche, sono oggetto di una scelta di regia, di una messa in partitura. Insomma, nel cinema di Pasolini, anche i rumori fanno musica.”
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