Una ricerca stilistica che emerge da ogni dettaglio.
Per il suo esordio alla regia di un lungometraggio, Elio Petri si affianca a Pasquale Festa Campanile, Tonino Guerra e Massimo Franciosa nella scrittura di un dramma, metà thriller metà noir, che affida poi all’interpretazione magistrale di due giganti: Marcello Mastroianni è Alfredo Martelli, antiquario accusato dell’omicidio della sua amante; Salvo Randone (Nastro d’argento per il miglior attore non protagonista) è il commissario Palumbo, responsabile delle indagini.
Il film narra l’odissea di Martelli che, portato in questura dagli agenti della polizia senza spiegazioni, dovrà convincere il commissario della propria innocenza. Questa disavventura diverrà per il protagonista un viaggio interiore dai rimandi kafkiani: egli si ritrova perduto e imbelle nei confronti del potere delle forze dell’ordine, specialmente nella prima parte in cui, ignaro delle accuse a suo carico e del destino della sua amante, si trova a vivere una situazione assurda.
La raffinatezza dell’opera prima di Petri consiste nel fatto che l’indagine della polizia diventa un pretesto narrativo per mettere in scena un’investigazione sull’animo del protagonista e più in generale dell’uomo tout-court. Attraverso una notevole sceneggiatura in cui il passato dei ricordi s’inserisce nel flusso narrativo del presente mediante sequenze di flashback, L’assassino scava nella psiche di un individuo “colpevole di disumanità” (così ebbe a dire lo stesso Petri) per mostrare come egli sia un uomo mediocre malato di ipocrisia, egoismo ed immaturità, svelando come alle sue parole quasi mai corrispondano fatti reali. Martelli è un bugiardo (la prima cosa che dice è una menzogna) e numerose inquadrature possono essere lette come metafore del tentativo cinematografico di una ricostruzione della sua personalità: dal biglietto da visita con il suo nome stracciato e ricomposto alla sua figura sdoppiata allo specchio. Le immagini contraddicono le parole, non tanto per sottolineare l’impossibilità à la Rashomon di giungere a una Verità, quanto per richiamare l’attenzione sull’opera stessa e sull’azione demiurgica del narratore Petri.
Lo stile che il regista romano adotta per il suo primo film, eccellente attuazione di un superamento stilistico del neorealismo, dimostra questa esplicita volontà di guidare lo sguardo dello spettatore dapprima sui personaggi e poi sulla regia stessa. L’assassino è un mirabile esempio di perfetta integrazione tra stile e narrazione, dove ogni movimento di macchina o scelta di punto di ripresa non è semplice sfoggio di abilità tecnica ma esito di un ragionamento coerente con la narrazione e con la sua etica. La contrapposizione tra i due protagonisti, ad esempio, non si evince soltanto a livello etico o funzionale (nel senso “proppiano” del termine) bensì anche visivo: la loro presenza in campo è un continuo tentativo di prevaricazione sull’altro e di appropriazione dello spazio vitale all’interno delle inquadrature. Si veda l’incredibile sequenza dove Palumbo rivela a Martelli che la sua amante è stata assassinata. Qui ci troviamo davanti a ripetuti scavalcamenti di piani da parte dei due uomini, con il fuoco (il nostro sguardo) costretto a passare da Randone a Mastroianni perché questi si alza e copre il commissario, che passa poi davanti al sospettato venendo in primo piano verso la macchina da presa. Lungo tutto il film, i personaggi attraversano le inquadrature passando dal fondo al primo piano e viceversa, con un elaboratissimo lavoro della macchina da presa che li segue negli spazi rivelando così la propria presenza. Questa strategia stilistica all’insegna della fluidità permette a Petri persino di far confluire nella stessa sequenza il presente e il passato semplicemente con alcuni movimenti di macchina.
L’aspetto visivo non è l’unico in cui la regia di Petri si fa “sentire” e si rivela: la colonna sonora di Piero Piccioni è un altro indizio della presenza del regista e quindi di una costruzione narrativa. Innanzitutto, bisogna notare come la musica dei titoli di testa inizi quando Mastroianni avvia il grammofono, creando una sorta di identità tra diegetico ed extra-diegetico, tra eventi e racconto. Si pensi poi in generale a come la musica sottolinei gli stati d’animo del protagonista (Attesa blues) o crei delle suggestioni sonore legando delle situazioni o dei personaggi a dei temi musicali (Momento d’amore). Il jazz di Piccioni accompagna la narrazione colorando i ricordi o gli eventi di languore, di suspense o di inquietudine a seconda dello stato d’animo del protagonista.
Ogni dettaglio di questo film è dunque uno studiatissimo elemento di costruzione di uno stile personale.