Il film è ambientato nell’Iran del 2009 e racconta la storia di un ragazzo e una ragazza, Ashkan e Negar, che cercano ad ogni costo di creare una band e lasciare la capitale Teheran per andarsene in uno stato dove non ci siano imposizioni e leggi che limitino la loro musica e il loro modo di vivere. Per fare ciò chiedono l’aiuto di Nader, che li aiuterà con passaporti e visti, oltre a orientarli nell’ambiente musicale e non della città.
Questo film è, a parer mio, un inno alla libertà, alla rivoluzione, alla protesta contro il regime iraniano e che, anche se sinceramente non sono riuscita ad apprezzarlo fino in fondo per via del finale tragico e delle riprese sfocate, sono riuscita a stimarlo abbastanza da consigliarlo ad altre persone.
C’è da dire, tuttavia, che il film è stato girato in soli 17 giorni, senza alcun permesso e questo mi ha sbalordito: so con certezza che ci vuole un’abbondanza di coraggio per fare un film illegalmente in un paese dove tutto è sotto stretta sorveglianza.
Il titolo non è messo a caso, in Iran è vietato portare fuori sia i cani che i gatti, allo stesso modo i ragazzi protagonisti del film sono costretti a nascondersi per suonare la loro musica, proibita dalle autorità. Questo aspetto è mostrato in una scena nel quale un poliziotto ferma i due ragazzi in macchina perché in compagnia di un cane che, a idea del poliziotto, è randagio (ragionamento senza senso) e quindi si trova costretto a prenderlo.