[:it]La ruota delle meraviglie[:]

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Voto al film:

“Teatro days and blue Ginny”

“I miei film descrivono la New York dei miei sogni, dei miei desideri, a volte dei miei ricordi. Vivo in una zona circoscritta. Una mia isola. Lì mi sento sicuro. Ci sono i miei ristoranti, i miei cinema, il mio lavoro, i miei amici”.

La poetica alleniana pullula, soprattutto negli ultimi film, di tragici destini e coppie conflittuali, mostrandosi sempre più circoscritta in una gabbia antropologica smorzata qua e là da una rêverie parigina, una vacanza romana o un tuffo nell’illusionismo magico al chiaro di luna.

La ruota delle meraviglie, altro giro di giostra sulle miserie e sulle crudeltà (extra)coniugali, non fa eccezione e Allen sceglie Vittorio Storaro per immergere in un cromatismo ramato e abbagliante Ginny, amante illusa, moglie e madre frustrata, idealista impenitente dal facile vagheggiamento: “blue Ginny”, come Cecilia ne La rosa purpurea del Cairo ma più coriacea e nevrotica, con la stessa gradazione alcolica nel sangue e la gestualità compulsiva di Jasmine, “corpo mobile” alimentato a vodka e xanax nel lungometraggio del 2013. La galleria femminile di volti consumati e personalità allo sbando si arricchisce così di una variante impazzita anni Cinquanta colorata di tristezza, dopo il ciano usato per pennellare Café society, in grado di “suonare” come i violoncelli bergmaniani di Sarabanda e del tutto inabile alla preservazione della propria felicità.

La ruota delle meraviglie è un revival a tinte melò che guarda all’omaggio cinefilo e al metacinema, seducente nella mise-en-scène e capace di lasciarsi anche ascoltare: il suono del lungomare di Coney Island evocato dai Mills Brothers in sottofondo e l’incedere suadente di I Fall in Love Too Easily dettano il tempo di una jam session contrappuntata dal repertorio musicale anni ’50, ma è Jo Stafford con You Belong to Me a disegnare sul volto di Kate Winslet lampi accecanti e fredde iridescenze, a fondere la dolcezza della ballad con gli effetti luministici realizzati su una vibrante tela umana.

Se il Kiss of Fire evocato da Georgia Gibbs guarda più alla folle piromania del figlio di Ginny piuttosto che ai baci rubati nel triangolo moglie-amante-figliastra, l’incanto delle Red Roses for A Blue Lady eseguita da Vaughn Monroe è un tema carico del dolce sapore delle illusioni giovanili, quelle che accompagnano la figlia adottiva Carolina, che ha l’erotismo candido di Dulcy in Commedia sexy in una notte di mezza estate e che, come Pearl in Interiors, è prorompente forza dionisiaca senza però divenire deus ex machina. Ginny, al contrario, è nevrosi lunare, non più Another woman germinata dall’unica scala cromatica scelta da Sven Nykvist, né una novella Alice con l’irrefrenabile istinto all’emancipazione onirica, ma un’eroina tragica dominata dall’anedonia del perdente, invischiata in un gioco perverso in cui l’arte, ormai rimasuglio nostalgico, diventa il surrogato di una vita sottomessa alla vanità del tutto.

Al mare burrascoso e freudiano di Interiors subentra così il placido litorale della “wonder coast”, preludio ad altri smottamenti emotivi baciati da un magico incanto, ma dominati ormai da un piacere stinto e fatalmente sfocato.

SCHEDA TECNICA
La ruota delle meraviglie (Wonder Wheel, USA, 2017) – REGIA: Woody Allen. SCENEGGIATURA: Woody Allen. FOTOGRAFIA: Vittorio Storaro. MONTAGGIO: Alicia Lepselter. MUSICHE: Artisti vari. CAST: Kate Winslet, Juno Temple, Jim Belushi, Justin Timberlake. GENERE: Drammatico. DURATA: 101′

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