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Per “Altri Sguardi” Lapo Gresleri scrive di Sonny Rollins – Beyond the Notes, documentario di Dick Fontaine dedicato alla leggenda vivente del jazz
The fabulous 80s
Se come sostiene Stanley Crouch “il jazz è l’incarnazione del presente preso di petto per farne qualcosa di nuovo”, Sonny Rollins è indubbiamente il jazz. Artista poliedrico e innovatore, il sassofonista newyorkese ha da sempre saputo catalizzare su di sé umori e mode coeve, rielaborandoli in forme originali ed estremamente personali, cifra inconfondibile del suo fare musica.
Inciso il primo disco a diciott’anni, a ventinove è già una dei nomi più influenti della scena jazz contemporanea. Figura schiva e restia, Rollins è stato da sempre circondato da un alone di mistero: poche le notizie su di lui, nessuno scandalo, un ritiro temporaneo dalle scene nella fase di massimo successo per studiare e trovare nuove sonorità e un talento la cui inalterata vitalità è tuttora evidente nonostante i suoi ottantasei anni. A conferma di questo una produzione sempre di qualità e le notevoli esibizioni dal vivo con cui ancora delizia il pubblico di tutto il mondo, come scaturisce da Sonny Rollins – Beyond the Notes, documentario di Dick Fontaine che testimonia il concerto tenutosi nel 2010 a New York in occasione dei sedici lustri del musicista.
Organizzato dallo stesso Rollins, l’evento si è trasformato in una jam session leggendaria a cui hanno preso parte alcuni dei jazzisti che hanno affiancato il sassofonista nell’arco della carriera, come Jim Hall, Ornette Coleman e Roy Haynes: una celebrazione corale che non vuole incensarne il protagonista, ma dimostrare nuovamente la sua grande creatività. Riprendendo infatti alcuni classici del suo repertorio quali I Can’t Get Started, If Ever I Would Leave You, Sonnymoon for Two o St Thomas, il musicista li rivisita in chiavi nuove pur mantenendoli riconoscibili all’orecchio del pubblico, segno del rinnovamento che da sempre è al centro della sua opera.
Alternando le esecuzioni dei brani a immagini di repertorio e interviste ai collaboratori e a Rollins stesso, Fontaine ne ricostruisce anche il percorso artistico, dalla formazione nei locali di Harlem alla gavetta con Miles Davis, Clifford Brown e Max Roach fino all’avvio della carriera da solista e le fasi più salienti della stessa. Ne esce il ritratto sincero di un jazzista mai chiuso su se stesso, ma anzi sempre desideroso di novità, capace di guardare al proprio tempo come in costante evoluzione, con la convinzione che per comprenderlo a fondo sia necessario cambiare con esso.