Venezia 81 – Maria

“Ave, Maria”

“Maria, chi sei?”: era questa la domanda a cui si era ripromesso di rispondere Pablo Larraín nel decidere di dedicare l’ultimo capitolo della sua trilogia sulle grandi donne del Novecento alla “divina” Maria Callas? Una primadonna? Una diva? Una semplice, umanissima donna con un enorme talento? Forse, banalmente, Callas era tutte queste cose insieme ma il biopic dell’autore cileno non offre una risposta completamente soddisfacente.

Come in Jackie (2016), film di apertura della trilogia dedicato a Jacqueline Kennedy, il pretesto per raccontare brani della vita della protagonista è dato da un’intervista; come in Spencer (il secondo tassello, dedicato a Lady Diana, del 2021) il racconto va ben oltre i fatti storici e penetra nella mente della donna per visualizzare i suoi pensieri. Maria si dimostra quindi perfettamente in linea con i suoi predecessori, anzi riesce in un certo senso a condensare i due precedenti, nel momento in cui l’intervistatore rivela il proprio nome, collocandosi di fatto in quel regno “immaginato” dalla Callas malata e delirante che ci viene presentata in questi suoi ultimi giorni di vita. Cosa è reale e cosa no, dunque? È reale ciò che vede Maria? Sono reali i ricordi che vediamo? Sono reali le immagini che vediamo? Soprattutto: è reale la Callas che vediamo? Angelina Jolie fa del suo meglio (e Larraín è molto abile nello sfruttare la sua somiglianza con la diva per dirigerla in modo da coglierne le varie sfumature d’espressione), ma non riesce a togliere dalla sua immagine quella patina di artificioso che, sì, fa parte della politica autoriale di un Larraín che non si muove nel registro del verismo assoluto, ma penalizza le intenzioni mimetiche della sua interpretazione.

Se un senso di “ricostruzione” emerge, però, non è soltanto per il look o le ambientazioni: è una sensazione che trasuda dalle immagini, dal loro essere inquadrate e ricreate alla ricerca di una inesistente perfezione (il pianoforte che deve continuamente essere spostato non è che l’esempio più lampante di questa infinita ricerca, insieme alla riproposizione della scena iniziale alla fine del film). Perfezione che è il tratto maniacale-ossessivo di questa Callas: se tornerà a cantare sarà perché il suo canto e la sua voce saranno di nuovo perfetti, come un tempo.

Ecco allora offrirsi l’occasione – attraverso il confronto con una esecuzione di prova e di studio (una dimostrazione a sé stessa, una seduta di auto-analisi) – per ascoltare celeberrime arie e indimenticabili incisioni (dalla Tosca alla Traviata, da Mozart a Bellini) che creano l’indispensabile contesto sonoro e psicologico con cui Maria deve costantemente relazionarsi. Non è azzardato, a questo proposito, considerare il film di Larraín come costruito sulla tripartizione identitaria freudiana: la Callas “diva” quale modello di perfezione irraggiungibile rappresenta il Super-io; la Maria “donna” che cogliamo in casa nella sua intimità, circondata dall’affetto dei suoi amorevoli domestici Ferruccio (Pierfrancesco Favino) e Bruna (Alba Rohrwacher), rappresenta l’Io, l’essere calato nel mondo; le immagini “false” che visualizziamo attraverso i suoi racconti (che siano riproposizioni di sogni, ricordi o visioni dovuti al Mandrax) sono l’Es, l’istinto puro, l’irrazionale, il conflitto interiore, la speranza.

Viene dunque da ripensare alla domanda che apre questa recensione: Larraín non ha l’ambizione di spiegarci chi era (o chi è) Maria Callas perché la personalità di un’artista di quel calibro è troppo complessa per essere contenuta in un biopic e se guardiamo a Maria in questo senso esso risulta inevitabilmente lacunoso.

Se invece lo guardiamo come un omaggio, un saluto amorevole (non è un caso che il film si apra proprio con l’Ave Maria dell’Otello verdiano) alla Maria Callas donna, allora possiamo coglierne gli aspetti positivi e rivalutarlo.

SCHEDA TECNICA: Maria (Italia, Germania, Usa; 2024). REGIA: Pablo Larraín, SCENEGGIATURA: Steven Knight. FOTOGRAFIA: Ed Lachman. MONTAGGIO: Sofía Subercaseaux. CAST: Angelina Jolie, Pierfrancesco Favino, Alba Rohrwacher, Haluk Bilginer, Kodi Smit-McPhee, Stephen Ashfield, Valeria Golino. GENERE: Biografico. DURATA: 123’.

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