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Per il secondo appuntamento con Cinemafrica 2016, Marianna Curia scrive de L’orchestra dei ciechi del regista marocchino Mohamed Mouftakir
Pubblichiamo qui la recensione apparsa anche su Cinefilia Ritrovata
Suonando ad occhi chiusi
Ne L’orchestra dei ciechi l’impianto narrativo ricorda quello della tradizione neorealista: Mimou è il bambino protagonista che racconta le vicende della sua famiglia in una piccola cittadina del Maghreb. Houcine, il padre, è musicista e direttore dell’orchestra dei ciechi; lo zio, Abdellah, è un dissidente che aspira alla democrazia; Moustafa, un parente vicino di casa, è un poliziotto-impresario musicale; Charma, è una giovane servetta di cui Mimou si innamora.
A distanza di circa quindici anni dalla fine della dittatura di Hasan II in Marocco, Mohamed Mouftakir mette a tema la quotidianità di una famiglia che vive i cosiddetti anni di piombo, cioè quelli – ripercorrendo per un attimo la storia del Marocco – che vanno dagli anni Sessanta fino ai primi anni Novanta. La forte repressione politica e sociale – che, lo ricordiamo, ha causato la morte di migliaia di dissidenti ed è sfociata nello sviluppo del culto della personalità del re – genera la riflessione di un autore come Mouftakir che è nato e cresciuto in quei luoghi (esperienze di questo tipo si sono avute anche in Italia; pensiamo solo al Mussolini ultimo atto di Lizzani oppure a Il federale di Salce).
Ne L’orchestra dei ciechi, l’esercizio del controllo sociale si estende sia alla sfera pubblica che a quella privata. Mentre lo scenario più ampio è, abbiamo detto, quello di una dittatura politica, la dimensione privata che viene rappresentata è quella di una famiglia in cui uno dei personaggi, Houcine, agisce come un padre-padrone: se il figlio Mimou è costretto a promettergli che sarà il primo della classe e verrà severamente punito quando si scoprirà che i voti in pagella sono stati truccati, Abdellah è obbligato a reprimere le sue idee sulla democrazia e a partire per seguire i dissidenti. Dopo aver composto un inno nazionale per il re che non verrà selezionato tra quelli in gara, Houcine torna a dirigere la sua orchestra dei ciechi (pare che sia realmente un’usanza del Marocco quella di reclutare musicisti ciechi per partecipare a feste in cui sia alta la presenza delle donne, come quelle di circoncisione o di riti religiosi); ed è proprio nel mestiere del musicista che si può riconoscere la concezione tutta adorniana del direttore d’orchestra che «dimostra visibilmente il suo ruolo di Führer» (così, il sax di Abdellah è per Houcine «uno strumento inferiore», ovvero lo strumento del jazz, «la musica degli oppressi»).
Quando alla fine si scoprirà che i musicisti dell’orchestra fingono di essere ciechi pur di suonare, la metafora autoriale sui rapporti tra arte e politica può essere colta. Il cinema dell’oggi che torna a riflettere sull’epoca della dittatura, ci dice che un artista tende ad esprimersi comunque, essendo in grado di aprire scenari di libertà attraverso la menzogna, la finzione. Quella cinematografica, per l’appunto.
SCHEDA TECNICA
L’orchestra dei ciechi (L’Orchestre des aveugles, Marocco 2014) – REGIA: Mohamed Mouftakir. SCENEGGIATURA: Mohamed Mouftakir. FOTOGRAFIA: Xavier Castro. MONTAGGIO: Sophie Fourdrinoy, Leila Dynar. MUSICA: Didier Lockwood. CAST: Younes Megri, Mouna Fettou, Oulaya Amamra, Mohamed Bastaoui. GENERE: Drammatico. DURATA: 110′
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