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Dylaniati dalla nostalgia
Se Bob Dylan è un universo in espansione, il film documentario di Scorsese No Direction Home è una ricostruzione del Big Bang. Chi inizia a raccontarlo è il protagonista, il Dylan musicista più che il Dylan personaggio. Dal racconto personale sulla formazione musicale (a dieci anni suonava già la chitarra e il pianoforte comprati dal padre nella casa d’origine), all’ascolto dei miti della musica folk e blues (Muddy Waters, Gene Vincent, Odetta, Dave van Ronk) fino allo shock dell’incontro musicale con Woody Guthrie, l’alternanza tra immagini di repertorio e il racconto dello stesso Dylan, costruiscono un viaggio (musicale, nella storia del folk) nel viaggio (personale, nella storia di un uomo). Il cambiamento assume sembianze diverse: mentre Allen Ginsberg definisce Dylan come uno sciamano in pubblico (quasi una colonna d’aria, un tutt’uno di mente e corpo), le sue canzoni – viene sottolineato da quasi tutti gli intervistati – scioccano l’ascoltatore per la novità della composizione e dell’interpretazione (il sound, la voce, le parole); insomma, il cantautore Dylan prende sempre più le distanze dalla musica “alla Mathis” o “alla Bennet”. Siamo nel pieno degli anni Sessanta e precisamente nel 1963, quando esce A Hard Rain’s a-Gonna Fall (in un’intervista radiofonica, Dylan dichiara di non essersi inventato niente – “it’s not atomic rain, it’s just a hard rain”), e proprio mentre la storia della canzone folk va ad incrociarsi con la storia del mondo, le immagini del film acquistano sempre più valore documentaristico (il suddetto brano viene interrotto sullo sparo che uccide Lee Harvey Oswald; Mario Savio viene citato in un’intervista di Joan Baez sullo sfondo delle immagini del Mr. Tambourine Festival; nella marcia su Washington, Martin Luther King ha lo stesso carisma di una rockstar).
Poi, è la svolta rock: dopo il racconto del lungo soggiorno del 1964 di Dylan nella casa del manager Albert Grossman a Woodstock, esce Bringing It All Back Home (ancora la casa!) nel 1965; quando vediamo che Dylan si presenta al Newport Folk Festival imbracciando una chitarra elettrica, ecco che i puristi del folk fischiano il tradimento. Poi, nel finale, lo schermo nero metaforizza il crollo di questo universo, la morte di un’epoca che non tornerà più: nel 1967, dopo l’incidente in motocicletta, Dylan smetterà di fare concerti pur continuando a scrivere canzoni. Dunque, rispetto ad una produzione artistica ampissima, Scorsese decide di concentrarsi su quella degli anni Sessanta, giudicandola come l’epoca più rappresentativa delle trasformazioni culturali in atto (non dimentichiamo che nel 1964 Marshall McLuhan cita Ballad of a Thin Man ne Il medium è il massaggio; in quello stesso periodo il sociologo Paul Wazlawick inserisce una vignetta dei Peanuts ne La pragmatica della comunicazione umana e – segnando l’incontro tra cultura bassa e cultura alta – Umberto Eco scrive Fenomenologia di Mike Bongiorno). Insomma, quando il generation gap è marcato il Big Bang ha un suono distorto.
SCHEDA TECNICA
No Direction Home (Id., USA, 20o5) – REGIA: Martin Scorsese. FOTOGRAFIA: Mustapha Barat. MONTAGGIO: David Tedeschi. MUSICA: Bob Dylan. CAST: Bob Dylan, Paul Nelson, Allen Ginsberg, Tony Glover, Martin Scorsese. GENERE: Documentario. DURATA: 208′
https://www.youtube.com/watch?v=QOUtzHizr9A[:]