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In occasione dei quarant’anni da Anarchy in the UK, la recensione di Sex Pistols – Oscenità e furore di Julien Temple a cura di Mariangela Carbone
“Una delle leggende più famose, e allo stesso tempo più infami, collegate alla Corona d’Inghilterra”
Dopo La grande truffa del rock’n’roll (1980), maldestro tentativo di Julien Temple di raccontare la maggiore band punk inglese attraverso il filtro della fiction, a vent’anni di distanza il regista torna ad esplorare la storia dei Sex Pistols, ma stavolta lasciando che siano loro a raccontarsi in prima persona, rivelando un lato umano inaspettato.
Corre l’anno 1976 quando il punk fa irruzione in un paese pietrificato dalla crisi, che colpisce giovani senza futuro e una working class disillusa dalla Sinistra. Tumulti sociali, odio razziale, sciopero di spazzini: in questa Londra sommersa da cumuli di spazzatura emergono i Sex Pistols, esibendo uno stile pregno di sporcizia e rozzezza.
Steve Jones, Paul Cook e Glen Matlock, a cui poi si aggiungerà John Lydon (detto Rotten, cioè “marcio”, per i suoi terribili denti), orbitano intorno al negozio SEX di King’s Road, gestito da Malcolm McLaren (poi manager della band) e Vivienne Westwood, e iniziano a suonare – pur non essendone capaci – strumenti rubati dal cleptomane Jones.
Con un montaggio serrato che alterna interviste e filmati d’epoca, scorrono davanti ai nostri occhi immagini sgranate ed estreme di concerti in cui Rotten e compagni sputano e vomitano sul pubblico, esibendo pantaloni strappati, borchie, cinghie e graffi.
Il primo singolo Anarchy in the UK viene lanciato il 26 novembre 1976 dalla EMI, avviando così un rapporto burrascoso con le case discografiche (verrano scritturati dalla A&M e cacciati dopo sei giorni). Destano scalpore per insulti e parolacce durante il programma “Today” di Bill Grundy, ma il vero oltraggio è la scelta di cantare God Save the Queen davanti al Parlamento il 27 maggio 1977, giorno del Giubileo d’argento della Regina. McLaren viene arrestato, il gruppo bandito da radio e negozi, eppure il disco è subito in vetta alle classifiche.
Ma quella della band è una provocazione, non un attacco politico mirato. Così come le svastiche sulle magliette e i testi apparentemente politici (la parola “anarchist” scelta solo per far rima con “antichrist”) diventano emblema di una negazione assoluta, di una retorica vuota e ironica, di un’immersione nella realtà per svuotarla di senso.
Temple traccia gli estremi (in tutti i sensi) della band forse più controversa della storia: i conflitti con il manager, l’obbligo ad esibirsi sotto falso nome, l’ingresso di Sid Vicious, che porterà la band (e se stesso) all’autodistruzione. A lui il merito di aver definito lo scenario in cui è avvenuta l’ascesa del punk – e della band che ne è stata il simbolo – come inevitabile e spontanea reazione alla crisi. “I Sex Pistols dovevano esistere e sono esistiti.” Oscenità e furore si aggiunge così a quei documentari che, fedelmente e senza didascalismi né retorica, raccontano un genere musicale e restituiscono l’atmosfera di un’epoca.
SCHEDA TECNICA
Sex Pistols – Oscenità e furore (The Filth and the Fury, Gran Bretagna, 2000) – REGIA: Julien Temple. SCENEGGIATURA: Julien Temple. FOTOGRAFIA: Julien Temple. MONTAGGIO: Niven Howie. MUSICHE: Sex Pistols. CAST: Paul Cook, Steve Jones, John Lydon, Nancy Spungen, Sid Vicious. GENERE: Documentario. DURATA: 108′
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