La dissolvenza musicale delle illusioni
Si potrebbe pensare a Un tranquillo posto di campagna come a una sorta di detour di Elio Petri rispetto al suo percorso artistico-politico. In realtà la sua poetica è lampante anche in questo film, sebbene declinata secondo altre modalità, altri canoni, persino altri generi. Di nuovo Petri si conferma artista solidissimo che non soggiace ad una direttrice predeterminata, ad un crogiolarsi in cammini già esplorati: si rivela intellettuale che sa far rientrare nel suo raggio di azione e di pensiero storie e ambientazioni differenti.
La vicenda di Lorenzo, pittore in crisi che si rifugia in una villa di campagna dalla quale è misteriosamente e morbosamente attratto nella speranza di ritrovare la perduta ispirazione, non è altro che l’esito cinematografico di una profonda riflessione sul ruolo dell’artista nella società moderna. Cannibalizzato dal potere oggettivante del mercato e ridotto a semplice produttore di opere destinate a consumatori d’arte, il pittore interpretato da Franco Nero manifesta tutto il disagio dell’infrangersi di un sogno poetico contro la dura realtà del mondo. Disagio che oltre ad essere sociale diviene anche psicologico, psichico. Lorenzo è vittima di un vero e proprio delirio, causato dalla presa di coscienza del fatto che perfino gli affetti sono subordinati alla mercificazione di tutto ciò che dovrebbe essere elevato a un livello superiore. L’Arte è oggettivata; il consumismo e il mercato hanno inquinato il regno delle Muse rendendo malato il rapporto tra l’arte e il denaro. Questa malattia contamina anche l’essere umano: da qui la follia di cui è vittima Lorenzo.
Ma una riflessione del genere, che riguarda la funzione dell’artista (e quindi dell’intellettuale) nella società contemporanea non è forse politica? Un tranquillo posto di campagna è un misconosciuto ma fondamentale tassello di una poetica autoriale che ad ogni tappa fa dell’originalità una caratteristica sempre più marcata. Tutto è diverso ma al contempo è espressione della stessa visione del mondo.
A riprova di questa omogeneità parla la colonna sonora: un tappeto di suoni, rintocchi, note di pianoforte che danno un effetto straniante, perfettamente coerente con il delirio di cui è vittima il protagonista del film. Si tratta di un commento sonoro integrato tematicamente nella narrazione, sia perché richiama atmosfere tipiche dei film thriller/horror con fantasmi e casa stregata, sia perché esprime acusticamente le sensazioni psicologiche del pittore.
Per ottenere una colonna sonora con queste caratteristiche, Petri si è rivolto a Ennio Morricone e al Gruppo d’improvvisazione Nuova Consonanza di Franco Evangelisti. L’esito è un commento più sonoro che melodico, che rende il senso di straniamento dell’artista in un mondo che egli non riconosce più, dal quale cerca di evadere come da un incubo. Abbiamo così brani (come quello che si ascolta durante i titoli di testa) che sembrano voler armonizzare un caos dominante e altri brani in cui la musica pare fluire come un’improvvisazione sopra una linea guida realizzata dalle percussioni.
Come il lavoro musicale del GINC, elevando a proprie linee guida l’atonalità e l’assenza di un ritmo regolare, rappresentava un punto di rottura all’interno della tradizione musicale classica, così questa colonna sonora si fa portatrice della simbologia di rottura del tradizionale ruolo attribuito all’artista dalla concezione romantica. Il tutto è poi in sintonia con l’aritmia visiva delle immagini, legate da un montaggio atipico, quasi sperimentale, in cui la velocità dei raccordi richiama l’attivazione psicofisica di un folle di fronte agli stimoli della realtà esterna.